L’intervista a Gian Piero Ventura, l’ultimo allenatore del Torino a battere la Juve: “Tanti derby ci sono stati portati via. Cairo? Fidatevi, ama il Toro”
Tra i successi e le emozioni, sciorinati con orgoglio, c’è un rimpianto: “Ho impiegato più tempo del dovuto a capire cosa vuol dire essere del Toro”. Gian Piero Ventura racconta i suoi cinque anni in granata come un percorso di ricostruzione, fatto (anche) di qualche frizione con l’ambiente ma pure di innegabili – e celebrati – traguardi. L’allenatore, al Torino dal 2011 al 2016, mette al primo posto la crescita del club – assieme sportiva ed economica -, poi ci sono i giocatori (tra l’altro: “Ho convinto io Cairo a prendere Belotti”) e le gioie del campo. Su tutte, il derby contro la Juventus vinto il 26 aprile 2015. Che è poi l’ultimo successo dei granata nella stracittadina e anche l’unico della sua gestione. Ma, dice in esclusiva a Toro.it, se ci fosse stato il VAR…
Ventura, lei è l’ultimo allenatore del Torino ad aver vinto un derby contro la Juventus: è più un orgoglio personale o un dispiacere?
Entrambe le cose. Mi fa piacere essere riuscito a dare una gioia ai tifosi, gratifica me e tutti coloro che hanno partecipato. Dall’altro lato sono dispiaciuto per quello che sta accadendo al Toro, spero che le cose migliorino velocemente. Anche perché non c’è tanto tempo.
Da quando Cairo è presidente del Toro, i granata hanno vinto una stracittadina su ventitré. La superiorità tecnica ed economica della Juve basta per spiegare il motivo?
Lo dico senza polemiche: se ci fosse stato il VAR noi avremmo vinto qualche derby in più. In alcune delle sfide in cui io ero in panchina ci sono state delle situazioni bizzarre, se non clamorose. Diversi derby ci sono stati portati via. Ricordo il gol di Pogba viziato da un fuorigioco di Tevez, la trattenuta su Jonathas nella sfida che poi perdemmo al novantesimo… c’è stata una miriade di episodi. Ora con il VAR mi auguro che situazioni simili possano essere analizzate con più coerenza.
“Il derby del 2015? Ricordo i tifosi anziani commossi alla Sisport”
E’ il 26 aprile 2015. Gol di Pirlo su punizione, pareggia Darmian, nella ripresa ribalta tutto Quagliarella. Quando realizza di poter davvero vincere la partita?
Al triplice fischio dell’arbitro, non prima. Ma in diversi derby abbiamo avuto la convinzione di potercela giocare alla pari. Ad esempio in quelli terminati 2-1 allo Stadium, decisi dai gol di Pirlo e Cuadrado nel finale. Scendevamo in campo con la convinzione che, se ce l’avessero permesso, ce la saremmo giocata. In alcune stracittadine le prestazioni sono state straordinarie, tenendo conto che quella era una Juventus stratosferica. Noi stavamo crescendo e non eravamo all’altezza sul piano della qualità. Ma il derby non devi affrontarlo con timore.
Cosa le resta di quella vittoria?
Almeno quella volta, contro tutto e tutti, siamo riusciti a portare a casa un risultato. Ricordo quello che accadde il martedì successivo: un gruppo di tifosi anziani venne alla Sisport, con gli occhi lucidi, a ringraziarci perché temevano di non vedere più il Toro vincere un derby. Ma sono io che ringrazio loro per le emozioni che mi hanno dato.
E’ proprio Toro-Juve 2-1 il momento più alto della sua quinquennale esperienza in granata, o Bilbao?
Ci sono tanti momenti. Certo, quelle due sono le partite che sono rimaste più negli occhi dei tifosi. Ma a me ancora emoziona la crescita. Assieme alla società abbiamo preso parte a una ricostruzione. Al mio arrivo il clima era di contestazione, c’era la polizia fuori dalla Sisport, alla presentazione della squadra c’erano dodici persone: partendo dalla quello siamo passati in tre anni dalla Serie B all’Europa League. Quasi nessuno c’è riuscito. Tutto questo non spendendo soldi ma producendo introiti, e questo ha permesso al club di avere un bilancio sano, tra i migliori della Serie A.
Ventura: “Ho convinto Cairo a prendere Belotti”
Con l’ambiente granata, però, il rapporto non è stato privo di screzi. Come li legge oggi, a quasi cinque anni dal suo addio?
Fanno parte della vita di un allenatore, soprattutto se si passano cinque anni nella stessa città, in una piazza esigente – come è giusto che sia – e anche arrabbiata, alla situazione di partenza. C’era il desiderio di migliorarsi sempre di più: o si spendeva tantissimo o programmavi. E quando programmi devi dare il tempo ai semi di germogliare. A volte gli screzi erano anche artificiosi, se devo essere sincero, ma sono stati cancellati dalla gioia di aver fatto parte della famiglia granata. Ecco, il rammarico è proprio quello di aver impiegato più tempo del normale a capire cosa vuol dire essere del Toro. Mi sono dedicato anima e corpo alla ricostruzione della squadra e del rapporto squadra-società. Quando poi ho capito erano già passati velocemente gli anni. E’ motivo d’orgoglio essere stato parte del Torino. Io oggi mi sento granata, il Toro mi è entrato dentro perché l’ho vissuto con intensità: entravamo alla Sisport alle 9 e uscivamo alle 22, perché non lavoravamo solo in campo ma a 360°.
E’ vero che fu lei a convincere Cairo a comprare Belotti?
Certo che sì. Ma non solo Belotti.
Lui e il Toro stanno parlando del rinnovo: un crocevia per il futuro del Gallo e del club…
Era bravo quando è stato acquistato, ora è straordinario. E’ un giocatore importante per la Nazionale e importantissimo per il Toro. Il futuro dipende molto dal risultato finale di quest’annata. Ma in questo momento bisognerebbe parlarne poco: è importante che Belotti riesca a trascinare la squadra alla salvezza, che è imprescindibile. Se il Torino si salva, allora il Gallo potrebbe essere orgoglioso di continuare a esserne il capitano. Ma sto facendo delle ipotesi.
Continua a pagina 2: Ventura parla di Cairo e del suo futuro