Tutto il Toro minuto per minuto / 4: il libro intervista di Gigi Marengo in esclusiva per Toro.it dal fallimento del Torino Calcio, al Lodo Petrucci, fino all’arrivo di Cairo: “Giovannone era disposto a lasciare in caso arrivasse un facoltoso. Così organizzammo il piano economico”
Continua “Tutto il Toro minuto per minuto” il lungo ed esclusivo libro-intervista su Toro.it a Pierluigi Marengo sulla convulsa estate del 2005, coincisa con il fallimento del Torino Calcio di Cimminelli, con l’arrivo dei Lodisti e con la successiva compravendita della società, trattata da Urbano Cairo. Seguiremo passo dopo passo ogni avvenimento di quell’estate così travagliata per i tifosi del Toro. Ecco la quarta puntata: la figura di Giovannone e il piano economico per la Serie B. Con l’aiuto di pochissimi. A questa pagina potrete trovare lo schema preciso di tutte le puntate.
La scorsa settimana abbiamo esaminato come fu reperita la somma necessaria per procedere all’iscrizione al Campionato di serie B del Toro, veniamo ora al reperimento dei denari per giocare la serie B.
Per dare consistenza economica al Toro, si pensò ad un primario capitale sociale di 10 milioni di euro e fu immaginato l’azionariato diffuso e l’azionariato popolare, di cui già ho accennato la scorsa puntata. Nell’azionariato diffuso avrebbero trovato posto i principali soci del Toro, stimati in 7/8 per un complessivo capitale sottoscritto pari a 8 milioni di euro. A questi si sarebbe unito l’azionariato popolare. Non potendo però immaginare una diretta presenza in società di migliaia di micro soci, che avrebbero reso difficoltosa la gestione societaria, fu quindi prevista la costituzione della società di partecipazione “Torino Siamo Noi”, con capitale di 2 milioni di euro, eventualmente diminuibile sulla base delle domande pervenute. In questa società sarebbero confluiti i sottoscrittori delle quote minime da 100 euro di azionariato popolare. La società, a sua volta, avrebbe partecipato il Torino F.C., con una quota ipotizzata nel 20%.
A perfezionamento finale dell’impianto, si auspicava inoltre un successivo aumento di capitale sociale a 20 milioni di euro, con un futuro socio di maggioranza capace di immettere nelle casse societarie ulteriori 10 milioni; un socio di maggioranza affiancato e controllato dai soci di minoranza dell’azionariato diffuso e dalla compagine popolare “Torino Siamo Noi”. Una presenza del socio di maggioranza comunque non necessaria nell’immediato, giacché i semplici soci di azionariato diffuso e popolare ben avrebbe potuto portare avanti il progetto Toro per alcune stagioni, forti, tra l’altro, di un capitale sociale di ben 10 milioni di euro.
Però quei soci che avrebbero coperto gli 8 milioni previsti in azionariato diffuso non si fecero vivi. Come pensaste allora di operare?
Non mi ripeto sulla latitanza e disinteresse dei tifosi vip, ne ho già parlato a iosa, ma certo è che, in quel momento, sugli otto milioni di euro previsti dall’azionariato diffuso avevamo solo l’impegno a versarne due da parte di Giovannone. In parallelo procedeva invece bene l’azionariato popolare. Rodda, che lo seguiva, aveva raccolto in pochi giorni manifestazioni di interesse per circa 150 mila euro, che divennero 400 mila a metà agosto. La soglia del milione di euro, ipotizzata quale soglia significativa per la costituzione della società “Torino siamo noi”, era quindi più che concreta.
In assenza di altri interessati al Toro, dialogammo quindi con il solo Giovannone, esprimendogli l’amarezza che nessun torinese o piemontese si fosse fatto vivo e chiedendogli se ritenesse di continuare a mantenere vivo il suo solitario impegno di versare i 2 milioni di euro. Di fronte a tale situazione fortemente critica, anche perché la mancanza di copertura sul capitale sociale mi impediva, quale Presidente, di contrattualizzare i giocatori con impegno di spesa in capo alla società, Giovannone ci chiese un paio di giorni di riflessione.
Quando tornò a Torino, in un incontro dei primi di agosto durato quasi tutta la notte, riferì a me e Rodda di aver riscontrato un interesse verso il Toro in un soggetto da lui incontrato quello stesso giorno a Cortina d’Ampezzo. Il personaggio in questione era disponibile a finanziarlo per tre milioni di euro, portando quindi la sua disponibilità dai previsti due milioni a cinque milioni. Sotto il profilo squisitamente economico ciò risolveva ogni problema; con cinque milioni a capitale sociale potevo procedere ad acquisire i giocatori. Un aspetto della vicenda non ci convinse però del tutto.
Chi era questo personaggio che avrebbe versato i denari e perché non li versava direttamente al capitale sociale del Toro, invece che girarli attraverso Luca Giovannone, rimanendo così al coperto?
Una domanda a cui Luca Giovannone, correttamente, quella notte non diede risposta, riservandosi di chiederne l’autorizzazione al suo interlocutore. Il giorno successivo ci riferì che si trattava di un membro della famiglia Mezzaroma, una delle più importanti e facoltose famiglie romane, con interessi odierni nella Lazio, attraverso Claudio Lotito marito di Cristina Mezzaroma, ed un tempo nella Roma, di cui un Mezzaroma fu amministratore delegato sotto la presidenza Sensi.
Vista la provenienza assolutamente lecita e pienamente accettabile dei capitali che, attraverso Giovannone, sarebbero stati immessi nel Toro, venne concordato con lui un aumento di capitale sociale a 10 milioni di euro da deliberarsi in assemblea, di cui 5 milioni lasciati alla sua sottoscrizione. Un impegno di Giovannone che dava a me piena capacità, quale Presidente, di acquisire giocatori e tecnici e che divenne, conseguentemente, l’elemento chiave per la costruzione della squadra, attesa meno di 20 giorni dopo sul campo. Un impegno assunto quando di Urbano Cairo non si aveva ancora nessuna notizia… all’epoca, mentre non ci sbattevamo per costruire il nuovo Toro, dopo averlo salvato con il Lodo, era in vacanza a Forte dei Marmi.
Se fosse arrivato un vero Paperone, Luca Giovannone avrebbe accettato di farsi indietro e tornare ad essere solo un socio di minoranza, come immaginato all’inizio della sua avventura nel Lodo?
Luca Giovannone, in quei giorni, era l’unica ed esclusiva risorsa economica di cui disponeva il Toro appena salvato e collaborava quotidianamente con noi. Il dialogo era continuo. Più volte Giovannone ci assicurò che, all’arrivo di un grande imprenditore disposto ad assumere la maggioranza della società, avrebbe fatto un passo in dietro, restando in società con i soli due milioni inizialmente ipotizzati. Stessa rassicurazione la diede al sindaco Chiamparino, durante un incontro nel suo ufficio in Comune. Qualora invece non fosse arrivato nessuno, avrebbe ricoperto, grazie ai denari dei suoi amici romani aggiunti a suoi, il ruolo di socio di maggioranza della società, senza peraltro richiederne la presidenza, che sarebbe rimasta a me. Tra l’altro, proprio nei giorni in cui si definiva il ruolo di Giovannone nel futuro Toro, avevo sul tavolo due ipotesi di possibili importanti ingressi in società, ben noti anche a lui.
Vi erano quindi due cordate con cui trattava nella prima quindicina di agosto?
Non proprio. Avevo esclusivamente avuto indicazioni di un possibile interesse sul Toro in capo ad un noto personaggio italiano ed ad un gruppo industriale canadese, operante sul settore minerario in Italia.
Il soggetto italiano, che un commercialista milanese mi aveva indicato come possibile interlocutore, era Ernesto Pellegrini, il leader della ristorazione collettiva e Presidente scudettato dell’Inter dal 1984 al 1995. Un personaggio di grandissima capacità economica, di un serietà e trasparenza imprenditoriale nota a tutto il paese e grandissimo intenditore di calcio.
Con il gruppo canadese, di enorme importanza economica tanto da essere quotato sulle borse americane, avevo invece un contatto diretto, in quanto lo stavo assistendo, unitamente ad altri legali, su un’importante operazione di acquisizione di miniere in Italia e, precisamente, il Sulcis sardo.
Con entrambi, ad agosto, era comunque tutto fermo. Le trattative sarebbero iniziate solo a settembre, ovvero a squadra in campo. Erano i soggetti che avevamo immaginato, l’uno o l’altro, quali socio di maggioranza su un aumento del capitale sociale a 20 milioni di euro, a cui affiancare i soci di azionariato diffuso, al momento, come detto, ristretto al solo Giovannone. Prima di tale data arrivò però Urbano Cairo.
Vi ritenevate in grado di giocare un intero campionato di serie B?
Certamente. E ciò tanto sotto il profilo dell’impegno straordinario da sostenere quale squadra ammessa attraverso il Lodo Petrucci, che per l’ordinaria gestione.
L’impegno straordinario, che non era un costo, ma una semplice fidejussione dovuta dalla società a garanzia dell’esatto pagamento degli stipendi dei giocatori per il primo anno post Lodo, lo avremmo onorato con il versamento di Luca Giovannone per 5 milioni. Per tale incombente, avevamo infatti già tratteggiato un accordo con Banca Intesa, grazie ad un mio amico all’epoca alto dirigente dell’Istituto, con cui stavamo studiando un sistema di Co-Marketing centrato sul Toro. La banca ci avrebbe coperto l’esposizione fideiussoria, pari a circa 7,5 milioni di euro, mediante la messa a sua disposizione della garanzia societaria, forte della somma su detta di 5 milioni, e, da parte di Giovannone, di alcuni suoi immobili. Una fideiussione prevista in periodica riduzione, così da liberare, ogni mese, circa 800 mila euro per l’eventuale copertura delle spese correnti. Essendo infatti la fidejussioni a garanzia del pagamento degli stipendi ai giocatori per l’intera stagione, pagandogli il mensile la fidejussione diminuiva dell’esatto importo pagato. Poco più di una semplice operazione contabile, non certo un costo. Ho voluto specificare ciò in quanto, troppe volte, ho sentito il Presidente Cairo parlare di queste fidejussioni come di un costo da lui sostenuto, come di un gravoso impegno economico a cui ha dovuto far fronte. Non è assolutamente così, fu solo una sorta di partita di giro, con l’intero importo tornatogli in tasca durante l’anno.
I costi di gestione ordinaria, quelli propri di tutte le società a cui far fronte con soldi veri, sarebbero invece stati coperti con le entrate. I denari per fare il campionato infatti c’erano e bastavano, sulla base del monte stipendi da noi adottato, per un totale di spesa stipendi sulla prima squadra pari a 7,5 milioni di euro, staff tecnico compreso. Ed erano costi per circa 13 milioni di euro, già compresivi dei 1,260 milioni versata alla F.I.G.C. per la concessione del titolo sportivo attraverso il Lodo, coperti con la sponsorizzazione SMAT. Costi all’incirca pari a quanto avremmo incassato. Denari quindi non da immettere nel Toro, ma che arrivavano al Toro semplicemente partecipando al Campionato di B.
Per essere più precisi:
_4,7 milioni di euro sarebbero arrivati dalla così detta mutualità, ovvero dalla somma che veniva riconosciuta dalla Lega a tutte le squadre iscritte alla serie B che l’anno precedente avevano giocato in A e dai diritti di trasferta;
_1,8 milioni circa dai diritti televisivi nel loro insieme (TV, Radio, dirette, registrate, ecc.);
_2,1 milioni circa dagli sponsor (a metà agosto avevano già concordato sponsorizzazioni per circa 1,8 milioni);
_300 mila circa dalla pubblicità interna allo stadio, per cui avevano già concordato l’importo;
_2,4 milioni circa da abbonamenti e biglietti, stimando in circa 10.000 le tessere vendibili (le tessere abbonamento poi vendute da Cairo per la stagione furono oltre il doppio).
Un totale complessivo di entrate pari a circa 11,3 milioni, a cui si sarebbero inoltre aggiunti, mensilmente, 800 mila euro sbloccati dalla banca e derivanti dal versamento di 5 milioni operato da Luca Giovannone e posto a garanzia della fidejussione di cui ho già detto. Un totale quindi di disponibile nella stagione pari a circa 16,3 milioni, con cui avremmo fatto fronte alle spese ordinarie per 13 milioni circa ed il cui residuo sarebbe stato in parte utilizzato per acquistare Stellone dal Genoa; gli altri giocatori erano invece previsti in prestito o contrattualizzati quali svincolati. Ma di questo parleremo nella puntata sulla squadra.
Sul punto, mi corre evidenziare che la spesa ordinaria per il campionato 2005/2006 sostenuta dal Toro di Urbano Cairo fu poco più di quella qui indicata, mentre le entrate, che noi avevamo calcolato in circa 11,3 milioni, furono maggiori, in particolare per il maggior introito derivante da abbonamenti e biglietti rispetti al da noi stimato e alla sostituzione, con maggior incasso, della sponsorizzazione SMAT con quella Reale Mutua Assicurazioni.
Nulla di nuovo sotto il sole. Sin dalla suo inizio, la filosofia di Urbano Cairo fu di utilizzare le entrate per coprire i costi, dimostrandosi così da subito un vero imprenditore, attento ai profitti e capace di far fuoco con la legna di cascina, senza impegnarsi economicamente. Ci tengo, in conclusione, a precisare che il Toro che gli lasciamo gratis, oltre ad essere iscritto alla serie B e quasi totalmente strutturato sotto il profilo sportivo, aveva anche una dote economica di circa 11/12 milioni, solo più da incassare a partire da settembre. E Cairo la incassò.
Cairo non ebbe da noi una scatola vuota, come più volte ha affermato, ma una squadra vera, con sin’anche i denari necessari per affrontare il campionato. Anche senza di lui, il Toro sarebbe sceso in campo ed avrebbe onorato il suo primo campionato post fallimento.
Per fare calcio di basso profilo non serve necessariamente un presidente finanziatore, si può tranquillamente farlo girando i soldi ricevuti dai vari enti: Lega, televisioni, agenzie pubblicitarie, ecc. Se poi si è bravi imprenditori, come lo è Urbano Cairo, si può anche guadagnare; lo attestando i bilanci del Toro dal 2005 al 2016, da cui emergono significativi profitti ad oggi realizzati dal Torino F.C. ed un buon ritorno economico a favore delle sue altre aziende, pari, stando ai bilanci, a qualche milione di euro tra Cairo Pubblicità srl (vendita degli spazi pubblicitari a bordo campo e di pacchetti di sponsorizzazione promo-pubblicitaria), Mp Service srl (gestione di impianti sportivi per usi commerciali) e Cairo Communication spa (servizi amministrativi e di utilizzo del software contabile gestionale).
Noi, non essendo imprenditori come Cairo, ci saremmo limitati a girare i soldi del Toro, senza cercare di guadagnare alcunché ma sperando di veder arrivare, durante la stagione, un soggetto forte e disposto ad immettere soldi veri, soldi sui e non già del Toro. Un soggetto forte che ci togliesse dal timone del Toro e apportasse quei grandi capitali necessari per passare dal calcio di basso profilo al grande calcio che è la nostra storia. Anche continuando, ci saremmo comunque ritenuti solo ed esclusivamente dei meri traghettatori del Toro, traghettatori tra il suo salvataggio e il ritorno sulla grande scena, nazionale ed internazionale.
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Per vegeta e pennina questo è quello che intendo per presidente con la p maiuscola: “Nella giornata di oggi l’Atalanta ha approvato il bilancio del 2017 e ai microfoni del sito ufficiale del club orobico il presidente Antonio Percassi ha commentato: “È un risultato importante che ci consente, tra l’altro,… Leggi il resto »
e pensare che il centro sportivo che già hanno è qualcosa che noi neppure potremmo sognare. Hai ragione, i fatturati ci condannano rispetto a certe corazzate
L’atalanta ha la stessa identica politica nostra. Ogni anno disfa la squadra per rifarla. Quest’anno andranno via (gia ceduti) Caldara e spinazzola più qualche altro. La fortuna dellatalanta degli ultimi due anni e di avere trovato Gasp il gobbo che con un buon gruppo di giovani sta facendo i salti… Leggi il resto »
finalmente capisco quelli della gang del bosco… questi si aspettavano un supertifoso supermiliardario superfilantropo e superdisinteressato venuto solo per il bene nostro e di tutta la nostra santa nazione… ahahahahahahah….
Se fosse come dici tu bracciamozze sarebbe esattamente quello che descrivi come aspettativa. Supertifoso, tramite la mamma. Supermiliardario, economicamente non sta certo messo male. Superfilantropo, ha usato il Toro per TUTTE le sue attività, obbiettivi e scalate. Se non è filantropia questa. Superdisinteressato, sicuramente tra tutti i presidenti del Toro… Leggi il resto »
Ma qui dentro siete tutti imprenditori straordinari che sapete sempre come si fanno le cose?
I miei complimenti se siete così di successo in ogni cosa che fate…
Vegeta, non si tratta di sapere come si fanno le cose, basta osservare come si evolvono o muoiono le aziende. Cmq se tu conosci un imprenditore che, senza reinvistire gli utili o mettendoci soldi suoi, fa crescere la propria azienda, chiedigli se vuole prendere il Toro. Spendendo meno di bracciamozze… Leggi il resto »
franco, io penso che negli ultimi 13 anni noi siamo migliorati, come squadra e come società… non come vorrei io ma siamo migliorati… cairo, o chi per lui, fanno il loro, si muovono solo se fiutano l’affare, l’errore è aspettarsi altro…
Se per te crescere come squadra vuole dire essere come il Chievo alla “Speriamo che io me la cavo” abbiamo speranze differenti. Se siamo cresciuti come società dimmi dove? Nelle strutture proprie? Nella composizione dell’organico societario? Nelle strutture di scouting? Nel merchandising? Nelle iniziative destinate alla fidelizzazione del tifoso nel… Leggi il resto »
scusa eh, se vuoi dire che il decimo posto in A ti fa schifo, fa schifo anche a me… se tutti questi campionati di A di fila non ti bastano, non bastano neanche a me… se la rosa di proprietà non t’interessa, non interessa neanche a me… ma se sei… Leggi il resto »
scusate,il male assoluto sta tra vinovo venaria e villar perosa