Tutto il Toro minuto per minuto / 6: il libro intervista di Gigi Marengo in esclusiva per Toro.it dal fallimento del Torino Calcio, al Lodo Petrucci, fino all’arrivo di Cairo: “Fontana un signore, Caso Mudingayi. Stringara: ecco perché. E sul Settore Giovanile…”
Continua “Tutto il Toro minuto per minuto” il lungo ed esclusivo libro-intervista su Toro.it a Pierluigi Marengo sulla convulsa estate del 2005, coincisa con il fallimento del Torino Calcio di Cimminelli, con l’arrivo dei Lodisti e con la successiva compravendita della società, trattata da Urbano Cairo. Seguiremo passo dopo passo ogni avvenimento di quell’estate così travagliata per i tifosi del Toro. Ecco la sesta puntata: le curiosità sulle trattative per la prima squadra e il piano per il settore giovanile. A questa pagina potrete trovare lo schema preciso di tutte le puntate.
Torniamo alla costituzione della prima squadra: perché proprio Stringara allenatore? Era ben poco conosciuto.
La scelta di Stringara fu esclusivamente di Padovano e ci trovò perplessi, tant’è che, con Rodda, provai a contattare altri tecnici. Il nostro sogno erano Zeman o Mondonico, ma fu un sogno che svanì alla prima telefonata, sentite le loro più che legittime richieste economiche. Altrettanto svanì il sogno Papadopulo, sempre per motivi economici. Contattammo ovviamente Arrigoni, l’allenatore che avrebbe guidato il Toro se non fosse fallito, ricevendo però una sua indisponibilità ad allenare in serie B. Si propose Giuseppe Materazzi, il padre del più famoso Marco; non ci convinse, da due anni allenava in Cina. Altrettanto fece Colomba, con cui ebbi una lunga telefonata da cui trassi la sensazione di un suo scarso interesse sul nostro progetto sportivo. Camolese, che avremmo accolto a braccia aperte, aveva già firmato con il Vicenza. A fronte di tali esperienze, convenimmo quindi sull’allenatore indicatoci da Padovano: Paolo Stringara. Ovviamente, essendo stato sostituito da Cairo con Gianni De Biasi ancor prima dell’inizio campionato, nulla posso dire su di lui, salvo che, in quei giorni, lo valutammo estremamente professionale e fortemente interessato al nostro progetto. Come Padovano, anche lui era una scommessa; risultata vincente la prima, speravamo altrettanto sulla seconda.
Quanto vi chiese Zeman?
Ometto di dire quanto ci fu richiesto dai tecnici contattati: senza loro autorizzazione non posso farlo, è un dato riservato. Posso però dirti che le richieste che ci impedirono di proseguire su quelle trattative erano ben superiori al nostro tetto di spesa per l’allenatore, posto a 250 mila euro.
Come fu vissuto da voi l’arrivo di Gianni De Biasi al posto di Stringara?
Se perplessità sulle mancata contrattualizzazione di alcuni nostri giocatori da parte di Cairo vi furono, nessuna perplessità ho invece avuto sulla sua scelta di Gianni De Biasi. Lo stimo sia come allenatore che come uomo ed ho avuto anche l’onore, mentre era a Torino, di averlo ospite a cena a casa mia. Un allenatore da me giudicato il miglior dell’era Cairo ed un vero uomo da Toro, visto che è uso dir ciò che pensa. Non a caso fu malamente allontanato nel 2006, ancor prima di iniziare il campionato di serie A; invece di fare il bravo ripetitore delle grandiose promesse estive del Presidente, si permise di lamentare una campagna acquisti inadeguata per la serie A. Lui non è un aziendalista.
Con quanti giocatori del Torino fallito parlaste?
Chiuso il Lodo, provammo a contattare gli ex giocatori del Toro, svincolati a seguito del fallimento. Fu una totale delusione. Quasi tutti si erano già sistemati altrove. Ancora liberi vi erano solo Marazzina e Fontana, oltre ai giovani Vailatti, Campo e Bongiovanni. Contrattualizzammo subito i tre giovani, nell’intendo di tenere nel Toro quanto più ci era possibile della vecchia società, aprendo contestualmente la trattativa con Marazzina e Fontana. Marazzina venne nel mio studio fresco di un’intervista apparsa su La Stampa il giorno stesso, ove dichiarava sperticato amore verso la maglia, unito ad una sua totale disponibilità a rinunce economiche pur di restare. Si sedette avanti a me e, con grande sorpresa, mi sentii richiedere un compenso non solo ben superiore al tetto da noi deciso di 300 mila euro più premi, ma in misura quasi doppia rispetto al percepito l’anno precedente. Mi sentii preso in giro; la trattativa con lui finì lì. Non lo giudicai un uomo per il nostro Toro. Un ricordo indelebile me lo ha invece lasciato Jimmy Fontana. Venne da me in studio, senza alcun procuratore. Sul mio tavolo vi era il contratto già predisposto in ogni sua parte, con il solo spazio per il compenso in bianco. Gli anticipai che i soldi erano pochi, impossibile mantenere il compenso dell’anno prima. Non mi rispose; prese il contratto, prese una penna, lo firmò. Consegnandomi il contratto quadriennale firmato mi disse: “presidente, il compenso lo decida lei, a me basta restare al Toro.” Ero commosso. In Jimmy vi era la vera essenza dell’essere granata, l’autentico amore per la maglia che è stata la nostra storia. Jimmy era il giocatore che, se avessi continuato a gestire il Toro, avrei utilizzato per insegnare allo spogliatoio cosa significa essere granata. L’avrei tenuto in squadra sino a che non avesse deciso di appendere i guanti al chiodo, per poi portarlo in società. Uomini come lui sono quelli che sanno e possono insegnare ai giovani ed ai nuovi giocatori cosa significa far parte del Toro. Invece, alla scadenza del 2009, il contratto non gli venne rinnovato… e vi assicuro non era un contratto faraonico, anzi… E stessa sorte toccò a Muzzi e Brevi, due giocatori che, pur portati da me al Toro solo a fine carriera, seppero comunque calarsi appieno nella nostra storia e nel nostro essere. E per tutti e due la società non ritenne di trovare un ruolo al suo interno. Scelta societarie per me incomprensibili. Scelte che impedirono il risorgere di quello spirito Toro che è la nostra vera forza. Ma forse è proprio ciò che a livello aziendale si vuole.
C’è qualche altro episodio?
Di quelle trattative, ovviamente oltremodo affascinanti per chi come me le viveva per la prima volta, ricordo in particolare due piacevoli episodi ed uno amaro. Doudou, un ragazzo senegalese che mi impressionò per la sua padronanza della lingua italiana. Un ragazzo estremamente colto, capace di ragionare di sport come pochi altri; uno che il Paròn Rocco avrebbe sicuramente definito non un giocatore, ma un uomo che gioca a calcio. Poi Ardito, che, nel valutare la proposta di giocare con noi, mi chiese informazioni sulla facoltà di giurisprudenza di Torino, per lui ben più interessante dei locali notturni cittadini; un altro ragazzo che certamente sarebbe stato amato dall’indimenticabile Paròn. Infine l’episodio amaro. Allorché si cercò di trattenere qualche giocatore del Torino fallito, convocai nel mio studio Gaby Mudingayi. Arrivò in anticipo sull’ora dell’appuntamento, da solo. Gli chiesi se fosse disposto a vestire nuovamente la nostra maglia. Mi rispose, in stentato italiano, che sarebbe stato per lui un onore, che amava la nostra città, che aveva trovato nel Toro e nei suoi tifosi una famiglia. Voleva restare a tutti i costi; non discusse di compenso. Arrivò poi il suo procuratore ed entrò stizzito nella mia camera per avermi visto parlare con il giocatore in sua assenza. Immediatamente, senza neppure consultare il ragazzo, mi disse che non si sarebbe fatto nulla, che Mudingayi non avrebbe mai firmato per noi. Lo prese per un braccio e lo portò fuori. A quel punto Gaby capì cosa stava succedendo e si ribellò, voleva a tutti costi firmare con noi. A fronte della ribadita imposizione del procuratore, lo vidi piangere in corridoio, piangere lacrime vere, chiedendo, come un bambino ad un padre padrone, di poter stare a Torino. Non ci fu nulla da fare. Il procuratore si impose e quasi lo trascinò fuori dal mio studio. Che pena per quel ragazzo, ma ancor più che pena per il calcio tutto nel suo insieme… un calcio schiavo di procuratori che castrano i ragazzi di ogni capacità di scelta. In quel momento maturai la convinzione che le società, per ridare dignità al mondo del calcio, devono fare argine allo strapotere di questi soggetti, ledendone il più possibile immagine e ruolo. E questa sarebbe stata una missione del nostro Toro; con un buon sistema di osservatori si sarebbe reso minimale il ricorso ai procuratori e, come dirò nelle prossime puntate, fu espressamente alla rete osservatori che ponemmo massima attenzione. Scopro però ora, dalla “Relazione sui compensi ai procuratori nel 2017”, pubblicata il 17/4/18 dalla F.I.G.C., che “il Torino F.C. è quarto tra le società che hanno speso di più quest’anno per concludere le proprie trattative mediante l’uso di procuratori. Una cifra molto alta quella utilizzata dal Toro rispetto ad altre società e sono stati impiegati oltre 8 milioni di euro. Spese superiori anche a quelle di Napoli e Inter”. Una politica societaria che non condivido assolutamente; un quarto posto in classifica di cui, da granata, mi vergogno. Basti pensare che la Lazio, per i procuratori, nel 2017 ha speso € 1.130.608,00, contro gli € 8.001.524,08 del Toro… con ben altri risultanti in campo.
Passiamo ora dalla prima squadra alle giovanili. Quanto puntava sui giovani il vostro progetto Toro?
Nella pura tradizione granata, avevamo dato centralità alle politiche societarie in area giovanili. Sul nostro bilancio vi sarebbe stato un primo stanziamento di 1,8 milioni di euro per le giovanili, con il settore reso autonomo rispetto alla gestione complessiva societaria, quasi una società nella società sotto il profilo gestionale, ma rigidamente collegato alla prima squadra. Prima squadra, primavera e allievi erano infatti da voi visti come una filiera unitaria, che doveva lavorare, anche sotto il profilo tecnico-tattico, all’unisono, onde rendere naturale il passaggio del giovane al livello superiore. Nulla di particolarmente innovativo. Nel vero Toro si faceva così e così fanno ancora oggi Atalanta e… Barcellona. Ben sapevamo che la prima squadra è largamente figlia della forza economica, ma il settore giovanile lo vedevamo più come figlio di un progetto ed un’organizzazione che del denaro, da lasciare in eredità a chi ci avesse sostituito al timone. Ecco perché ci impegnammo allo spasimo, già a luglio, per darvi impostazione e organizzazione, tant’è che il suo organigramma, a metà agosto, era praticamente completato su ogni ruolo. Per la funzione di Direttore Generale Giovanili avevamo scelto Gigi Gabetto, un nome che non ha certo bisogno di presentazioni nel mondo granata; a lui avrebbero fatto capo le politiche giovanili e la gestione, in piena discrezionalità, del budget annuale stanziato a bilancio. Il Coordinatore Giovanili era invece Antonio Comi, affiancato da Silvano Benedetti per le scuole calcio e per i rapporti con genitori e strutture scolastiche frequentate dai ragazzini. Al gruppo così composto, avremmo poi unito uno psicologo esperto di problematiche giovanili e sport, quale consulente a tempo pieno. Il settore avrebbe lavorato in stretta sinergia con la Struttura Centrale Osservatori, di cui dirò nella prossima puntata, con Serino Rampanti, forte della sua esperienza nelle nazionali giovanili, quale dirigente di coordinamento tra prima squadra e giovanili, nonché responsabile per i rapporti con le aree tecniche della Federazione. Sul campo avevamo invece identificato in Antonio Pigino e Salvatore Barbieri i due allenatori di riferimento; il primo per la Primavera ed il secondo per gli Allievi nazionali. Una struttura quindi non solo all’avanguardia, ma fortemente arricchita rispetto a quella del Torino fallito. Per noi le giovanili erano un imperativo categorico, su cui fondare la crescita futura del Toro.
C’è una frase che spesso viene citata intorno al Toro dei lodisti: che non ci fossero nemmeno i palloni per allenarsi.
Ed è del tutto fantasiosa. Urbano Cairo ricevette da noi un Toro organizzato in tutti i settori, ancor più in ambito giovanili, tant’è che la nostra struttura fu da lui mantenuta, anche se notevolmente impoverita. Risolse infatti il contratto con Gigi Gabetto, smantellando conseguentemente la nostra idea di centralità delle giovanili in autonomia economica e gestionale, e non allestì la Struttura Centrale Osservatori, con cui il settore giovanile si sarebbe interfacciato. E mi dicono che ridusse significativamente anche la dotazione economica per le giovanili, da noi prevista in 1,8 milioni annui, ma su ciò non ho il dato certo di raffronto. Per il resto, venne confermato quanto da noi già predisposto, con Antonio Comi e Silvano Benedetti sul loro ruolo di coordinamento e Antonio Pigino e Salvatore Barbieri sul campo. Se qualcuno ebbe scarsità di maglie e palloni, lo furono le giovanili dei primi anni dell’epoca Cairo. Vidi con i miei occhi le maglie dei ragazzi stese la sera ad asciugare, durante un ritiro estivo a Sauze d’Oulx, sul balcone dell’hotel Florida Prata; maglie da usarsi il giorno dopo perché non era stata data una seconda maglia. Ricordo Gigi Gabetto, che a Sauze d’Oulx organizza gli stage di Summer Sport, prestare palloni alle giovanili del Toro per il ritiro estivo… E questa non è polemica, è solo la foto della realtà.
Un ricordo sul lavoro svolto per le giovanili?
A metà luglio ero a Bardonecchia, nel dehor di un bar in via Medail con Gigi Gabetto. Sul
tavolo un block-notes. In meno di tre ore l’intero impianto giovanili fu definito nei minimi particolari. Gabetto dettava ed io scrivevo. Mi resi conto di avere davanti a me, e in futuro con me, una persona di straripante esperienza e conoscenza del calcio giovanile, il tutto condito con quell’amore verso il Toro che solo il figlio di un invincibile scomparso a Superga può avere. Era l’uomo giusto per il nostro nascente Toro. Gli diedi carta bianca per organizzare l’intero settore. Mi guardò, nei suoi occhi vidi l’entusiasmo di un ragazzino. Occhi che divennero umidi mentre mi diceva: “grazie Presidente, insieme faremo il Toro che abbiamo sempre sognato e di cui tutti i tifosi saranno orgogliosi…”. Fu per me un momento ammantato di magia. In poche ore si era ridato vita ed organizzazione alle giovanili e, contemporaneamente, entrava nel nostro progetto Toro un autentico suo figlio. Da quel giorno Gabetto fu inarrestabile; una vera macchina da guerra che, aiutato da Comi, Benedetti e Pigino, riannodò al Toro le sue giovanili, svanite a seguito del fallimento. Riuscimmo persino a mantenere le date già previste ante fallimento per i ritiri estivi. Tutto funzionò alla perfezione. Quando arrivò Urbano Cairo, trovò le giovanili regolarmente in ritiro precampionato, con i loro allenatori, massaggiatori e quant’altro necessario. A fronte di quel perfetto funzionamento del settore, Cairo però mi chiese di cacciare Gabetto, Comi, Benedetti, Pigino ed i loro collaboratori, quale condizione per prendere il Toro… ma di ciò si parlerà nelle prossime puntate sulle trattative.
Cosa fu previsto per i campi di allenamento?
Ritenevamo imprescindibile un centro sportivo unico per le giovanili, per far loro respirare aria granata sin dai primi passi sul campo e giusto quanto ho detto sulla filiera unica. Ed allora si partì anche sul fronte campi. Sebastiano Consentino, un costruttore nonché compagno di Lodo quale socio di Società Civile Campo Torino, si assunse l’onere di trattare l’affitto dell’area Certezza di c.so Allamano. Tre campi da 11, un campo da 7 e due campi da 5, con annessi spogliatoi, che sarebbero divenuti casa delle giovanili. Di fronte all’impianto sportivo il Piccolo Hotel Allamano, ove eventualmente alloggiare in caso di necessità, ed a fianco il ristorantino dell’area golf, gestito da un amico granata a tutto tondo, da utilizzare quale punto ristoro per i ragazzi. Nelle vicinanze altri tre campi da 11 all’occorrenza trattabili. Un progetto di centro sportivo unitario che solo quest’anno, dopo ben 13 anni, inizia a concretizzarsi nel Toro, con l’acquisizione dell’area Robaldo di strada Castello di Mirafiori. Sino ad oggi i nostri ragazzi han sempre dovuto girar raminghi per la città, pietendo ospitalità altrui, mentre la prima squadra ha comprato, si narra a 400 mila euro annui, ospitalità in casa Fiat.
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ahahaha avviso ai naviganti che ogni tanto mi tirano in ballo. Alla sera spesso non bazzico per siti. Spiace non potervi rispondere, ma non è scappare. Ricordate? Alla sera si possono fare cose molto più interessanti. Tra le più interessanti c’è una parolina che significa “Fare le pulizie”. 7 lettere.… Leggi il resto »
Solo alla sera? Scarso.
Eh caro il mio Winnie, ‘n c’ho più il fisico! anni fa avrei saputo fare di meglio. Ora devo centellinare i colpi ma spararli bene. E uno al giorno…funziona piuttosto bene. Tutti a bersaglio
Guarda che se vuoi scopare anche il giorno o eventualmente fare quel che a te pare, per noi non c’è problema
Urbano Cairo potrà fare il presidente per altri 30 ma non sarà mai e poi mai stimato. Il cuore dei tifosi non lo comprerà mai.
Hai utilizzato un elegante eufemismo.
Comunque il senso è chiarissimo oltre che abbondantemente condiviso.
Concordo con chi concordi tu..i tuoi amici sono i miei amici..i tuoi nemici sono solo tuoi nemici 🤣
Questa è facile!😉
su questo hai perfettamente ragione. ne fa troppe per rendersi poco simpatico. e poco trasparente. e poco umano. e poco tifoso (Ma molto aziendalista)
Vanni..mettiti il cappuccio della Gang ti starebbe bene..
Devo avere prima il consenso di Granita. Da ieri pendo dalle sue labbra.
Col suo consiglio sono tornato 30 anni indietro.
Vanni..te lo manderei ma non ho ancora capito come çazzo si faccia..prendilo dalla foto di Giankjc qui sotto..
E no. Io sono mica come Giankic che ogni 3 x 2 cambia barca. Io Leo non lo cambio con nessuno.
😁
Domani vado ai giardinetti con gli inside
Winnie, sentiti libero di fare come preferisci. sono per la democrazia e la libera scelta