Senza obiettivi e già salvo, è un Toro che dimostra di non volersi mai accontentare: ma serve che allenatore, giocatori e proprietà abbiano un fine comune
Difficile abituarsi al fatto che una squadra senza obiettivi europei, praticamente salva anche se non ancora aritmeticamente, possa giocare con uno spirito così. Difficile abituarsi perché forse in passato si è sempre persa l’occasione di aprire un ciclo. Non significa semplicemente restare un certo numero di anni su una panchina e provare a fare dei risultati in maniera fine a se stessa. Aprire un ciclo significa innanzitutto – dal punto di vista dell’allenatore – dare un’impronta propria ad un gruppo e plasmarlo, trasferendo ai calciatori le proprie idee. Ovviamente anche i giocatori devono fare la loro parte e lo stesso chi una squadra la costruisce: serve che ci sia uno zoccolo duro attorno al quale far crescere gli altri, serve che chi arriva si inserisca al meglio e serve anche che ci sia chi possa già in anticipo assimilare il più possibile da chi è destinato a partire. Di certo ogni parte deve fare il suo con convinzione: la proprietà, l’allenatore, i giocatori. Vanoli e la squadra stanno andando nella giusta direzione: una volta intrapresa la nuova strada, con qualche buon risultato e un sistema di gioco in grado di mettere tutti nelle condizioni di esprimersi al meglio, avrebbero potuto accontentarsi. Non lo hanno fatto, splendido segnale che fa capire come l’oggi interessi relativamente e quanto il domani sia invece qualcosa a cui tendere con convinzione. Non arrivare a fine stagione e poi ripartire ma iniziare già adesso a forgiare una mentalità (in questo senso vanno lette le parole di Biraghi) senza la quale tendere al limbo potrà essere la massima aspirazione. Se la dirigenza asseconderà questo cambio di prospettiva (il riscatto di Elmas, quantomeno la conferma di un gruppo che merita di diventare più competitivo) allora sì che forse gli sforzi di quest’anno non andranno perduti.
