ll silenzio della società, il mea culpa dei giocatori: a Marassi l’occasione di restituire al Grifone lo “scherzo” che valse la retrocessione granata
La prima sentenza è che ai cinquantasette punti il Toro non potrà più arrivare, dopo questa umiliante sconfitta contro il Napoli. Niente record, sfugge anche l’ultimo degli “obiettivi” della stagione. La seconda sentenza è che nemmeno l’ottavo posto è più alla portata: l’Inter ha sei punti in più e gli scontri diretti in suo favore. La terza è che con questa difesa e senza ricambi nei ruoli chiave, la corsa all’Europa sarà impossibile anche l’anno prossimo: non serve un mago per profetizzare che senza un grosso intervento sul mercato i granata di Mihajlovic, fra dodici mesi, si ritroveranno di nuovo qui, a commentare l’ennesima stagione a metà. Al tonfo assordante del Toro è seguito l’altrettanto assordante silenzio della società, che ha scelto di non commentare il pomeriggio nero dei granata. Persa l’occasione di dimostrare che dietro agli undici ragazzi scesi in campo e chiamati a prendersi le proprie responsabilità (non si sono sottratti né Baselli e Ljajic né Lombardo, che ieri sostituiva lo squalificato Mihajlovic) c’è una struttura salda e forte, che protegge la propria creatura, quella granata. E che allo stesso modo è interessata a prendersele, quelle responsabilità: chi siano tecniche o no, poco importa.
Era lecito aspettarsi una presa di posizione chiara che avrebbe tutelato qualunque altro tesserato. Il minimo per salvare la faccia, ha ragione Attilio Lombardo, è andare a Genova e dare tutto. Non è una partita qualunque per i tifosi: non si aspetti ancora applausi, questo Toro, se riuscirà nell’impresa di fare festeggiare il Genoa che otto anni fa a Torino firmò la condanna alla B dei granata.