Arrivato per salvare il Toro dopo una stagione deludente, Longo ha fatto quello per cui è stato chiamato: manca solo l’aritmetica per la salvezza.

È arrivato per salvare il Toro in una fase delicata della stagione. Nel momento peggiore dell’era Cairo, con quegli undici gol subito da Atalanta e Lecce nel giro di una settimana, Moreno Longo ha accettato la panchina granata conoscendo bene i rischi. Sapendo di arrivare al cospetto di una squadra innanzitutto indebolita nell’organico, poi psicologicamente giù di morale dopo una serie di risultati negativi compresa l’eliminazione in Coppa Italia. Un rischio abbracciare un’avventura del genere, un rischio tornare laddove da allenatore della Primavera aveva fatto benissimo tornando a vincere uno scudetto dopo oltre 20 anni. Un rischio che ha voluto correre cosciente di quanto ci sarebbe stato da lavorare. Sampdoria, Milan e Napoli: tre ko di fila. Poi il Covid, la ripartenza, i calcoli sui punti da fare con le dirette concorrenti. Punti che il Toro di Longo ha fatto: ha battuto l’Udinese, ha vinto col Brescia e ieri ha chiuso il trittico avendo la meglio anche sul Genoa. Punti che non era scontato fare, punti necessari per assicurarsi una salvezza non ancora aritmetica ma più vicina. Punti, quelli con le piccole, che ad inizio stagione avevano trovato la squadra granata impreparata.

Chiamato (anche) per calmare una piazza in fermento, Longo ha ritrovato i tifosi che già ne apprezzavano le qualità oltre all’attaccamento alla maglia. Ha dato alla squadra riparo dalle contestazioni (al Fila, fino a che è rimasto aperto prima della pandemia, mai un disordine o un coro contro chi si allenava) ma soprattutto sul campo ha conquistato i punti necessari a raggiungere l’obiettivo. Doveva salvare il Toro: lo ha (quasi) fatto. Con buona pace di Mazzarri e dei suoi portavoce.

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ultimo aggiornamento: 17-07-2020