Mai il presidente Cairo ammetterà di aver commesso degli errori, questa è una certezza: sarebbe qualcosa di troppo granata per lui
Quanta rabbia in queste diciotto partite, quanta incredulità, vergogna, imbarazzo. Speranza mai: dal Franchi di Firenze a ieri – nella sfida giocata in undici contro dieci, contro uno Spezia che sembrava la disperata squadra in zona retrocessione, quando quei disperati erano invece i giocatori del Torino – non c’è mai stata l’idea che questo Torino potesse, prima o poi, svoltare. Mai, nemmeno per un momento: i più ottimisti speravano che qualche punticino racimolato qua e là rendesse l’impresa di salvarsi meno ardua. Insomma, nessuno si aspettava da una squadra così svogliata – va avanti da 12 mesi, ormai abbiamo imparato a conoscerli – chissà quale impresa. Ma nemmeno che non ci fosse mai, (mai!) un moto d’orgoglio, un po’ di amor proprio. Perché di questo parliamo e non solo dei miseri punti che il Torino ha in classifica, 13, roba da fare impallidire le peggiori squadre viste in Serie A negli ultimi anni. Di questo parliamo, di dignità.
Quella dignità che per esempio, al termine di una partita “pessima”, come lo stesso patron l’ha definita. porti il presidente – che di questa squadra è il primo responsabile, avendo scelto il direttore tecnico, l’allenatore, i giocatori – a scusarsi pubblicamente per l’ennesimo scempio.”Ho sbagliato”, “Colpa mia”: sono le parole che non sentiremo mai. Probabilmente dopo aver accusato pubblicamente, in questo caso sì, i giocatori, ci toccherà sentire che l’allenatore non è stato all’altezza del compito, poi magari che il direttore tecnico non ha saputo valorizzare la rosa, vendere o comprare. Uno schema destinato a ripetersi e che parte sempre da una grande certezza: che Cairo non sbaglia mai. O, meglio, che non ammetterà mai di averlo fatto: sarebbe troppo granata per lui.