Quattro gol, un Toro che non subisce, un allenatore schietto: non serviva chissà cosa per riavvicinare una parte della tifoseria
Quattro gol di fronte a poco più di 9000 spettatori. I cori per Sanabria e per Belotti (in tribuna), quelli per Juric, che alla terza partita ufficiale – e dopo soltanto una vittoria – si è guadagnato il saluto della Maratona. In effetti bastava davvero poco per ridare linfa ad una tifoseria che, pur restando distante dalla presidenza – i cori contro Cairo sono stati puntualmente scanditi – ha saputo vivere un pomeriggio (finalmente) sereno. Chi allo stadio ha riassaporato la normalità, potendo tornare sugli spalti, ha mostrato come non servissero chissà che fuochi d’artificio per acquisire un minimo di credito. C’è un allenatore schietto e sincero, che non ha avuto alcun problema a manifestare il proprio dissenso a microfoni accesi, un allenatore che può fare da garante. C’è una squadra al momento orfana di Belotti ma della quale si devono ancora scoprire tutte le potenzialità. Ieri Zima ha mosso i primi passi, Pobega ha rotto il ghiaccio con un gol, Praet ha mostrato a sprazzi le sue qualità mentre Brekalo è ancora tutto da scoprire. Certo, non è questo il momento di esaltarsi: sarebbe un grosso errore considerare la vittoria contro la Salernitana come quella in grado di cancellare due anni di sofferenza o di riconquistare una piazza che resta per la maggior parte ancora disinteressata alle sorti granata. La frattura resta e per qualcuno è da considerarsi insanabile: se il club vuole ritrovare chi è in grado di dare ancora una possibilità, invece, non è ancora troppo tardi.