Parla Agroppi: “Belotti ha fatto bene a restare. Giagnoni? Entusiasmo e grinta. Lo ricordo come un combattente”

Con il Torino Agroppi ha conquistato due Coppe Italia, diventando uno dei protagonisti della rinascita del Torino negli anni 70. Ma con la maglia granata ha anche perso uno scudetto per un soffio, per un gol annullato che ancora oggi urla vendetta. Ed è proprio Aldo Agroppi a commentare la situazione attuale del Torino, a pochi giorni dall’inizio della nuova stagione e, soprattutto, a ricordare Gustavo Giagnoni scomparso nella notte tra il 7 e l’8 agosto.

Signor Agroppi, il nuovo Toro sta prendendo forma. Che idea si è fatto? Quali obiettivi può raggiungere?
Bisogna fare una riflessione: gli investimenti stranieri stanno rovinando il nostro calcio. Il Torino, così come la Fiorentina o il Bologna, società gloriose, non hanno gli stessi capitali e sono destinate ad arrivare dopo purtroppo. Oggi la realtà è questa: i tifosi devono essere tifosi non dei risultati ma della maglia, della storia di questo club. Purtroppo oggi molte di queste società sono destinate a fare le squadre risparmiando. Detto questo, però, credo che il Torino abbia le potenzialità e possa combattere per l’Europa League.

E quest’anno il Toro sembra anche aver ritrovato Belotti nonostante alcune voci di mercato.
Le voci di mercato sono normali. C’è carenza di attaccanti, è normale che Belotti venga cercato. Dopo aver fatto quel campionato eccezionale sarebbe potuto andare ovunque, guardando soprattutto l’ingaggio invece è stato bravo a rimanere a Torino ed è stato bravo il Presidente a trattenerlo. Poi purtroppo ha avuto una stagione negativa. Lui però i mezzi li ha e se gli mettono di fianco un altro attaccante forte il Toro ha una buona squadra. Il centrocampo? Fossi più giovane verrei io a parametro zero (ride). Però finalmente abbiamo anche un buon portiere.

Al Torino sono cambiate tante cose tra cui l’allenatore. Cosa pensa di Mazzarri?
Tutti gli allenatori sono bravi o cattivi in base ai risultati. Lui il suo lavoro lo sa fare, ha anche ottenuto risultati prestigiosi ma dipende molto dal materiale che hai a disposizione. Tutti osannano Allegri o Conte ma è facile fare bene con i fuoriclasse. Se non hai giocatori all’altezza non puoi fare molto. L’allenatore ti dà la teoria, gli schemi sulla lavagna tornano sempre ma poi bisogna metterli in pratica. Tutto dipende dai risultati, dai professionisti che hai o non hai in squadra, dalla società, dai collaboratori.

A proposito di allenatori, l’8 agosto purtroppo è stata una giornata triste, con la morte di Giagnoni.
Sì, una giornata davvero triste. Io sono sempre stato in contatto con la famiglia, con la moglie: lo sapevamo ma ora che non c’è più mancherà. Da una parte sono contento di non averlo più visto dopo che è stato colpito dalla malattia. Io Gustavo lo vedo sempre davanti a me: era un combattente, un uomo per bene. Aveva carattere e coraggio, ha portato tanto entusiasmo quando è arrivato a Torino. E voglio ricordarlo esattamente così.

Che ricordo ha di lui come allenatore?
Giagnoni è stato un allenatore importantissimo. Arrivava da Mantova dove aveva vinto il campionato di Serie B e si fece subito apprezzare. Legò con il pubblicò e con noi anche grazie alla sua spontaneità. Io dico sempre che quell’anno lo scudetto l’abbiamo vinto noi. L’ha vinto lui. Se non avessero annullato il mio gol contro la Sampdoria e quello di Toschi a Milano saremmo arrivati noi al primo posto. Cose incomprensibili e guarda caso ha vinto la Juventus. Ma noi eravamo davvero molto forti. L’anno dopo purtroppo non riuscimmo a ripeterci e poi lui andò al Milan e alla Roma.

Un allenatore col colbacco. Come nacque quel simbolo?
Il colbacco glielo regalarono i tifosi dopo un derby. Lui lo metteva sempre, d’inverno e d’estate, come un parafulmine. Era diventato un amuleto, un porta fortuna. Ma era lui ad essere un allenatore e un uomo con tanto di cappello.

Ci racconta qualche episodio che ricorda con particolare piacere?
Sicuramente quello del suo arrivo, la presentazione della squadra in sede. Esordì con una gaffe su cui ridemmo tutti. Ringraziò i presenti, il presidente, i dirigenti poi disse “Siamo all’epilogo di questo campionato”. Noi gli facemmo notare che era prologo e non epilogo, e lui con il suo tipico accento rispose “Porca miseria era prologo, pensavo fosse epilogo”. Ridemmo tutti. Ma c’è anche un altro momento.

Quale?
Un giorno dovevo marcare Rivera e lui mi disse: “Devi marcare Rivera, butta l’occhio”. Io gli chiesi cosa volesse dire e mi rispose di fare come il “Gatto Mammone”: fai finta di non vederlo, mi disse, e poi quando arriva gli rubi il pallone. Da quel momento ci tramandammo il gatto mammone tra di noi. È stato davvero uno dei miei migliori allenatori.

Quali sono stati gli altri?
Prima di Giagnoni ho lavorato con Fabbri e Cadè. Il primo era furbo, arguto. Quando superò lo scoglio della Corea che lo deluse tantissimo e ritornò in sé arrivò a Torinno e rinacque. Poi fu lui a farmi esordire in Serie A. Cadè invece era un signore, nel vero senso della parola. Troppo per quello che già allora era il mondo del calcio. Lui ha pagato il suo essere buono, il suo perbenismo. Non era fatto per quel mondo. Ma tutti e tre sono allenatori che ho amato e a cui non so trovare un difetto.