Dopo serate come quella di ieri tornerebbe utile una delle frasi più gettonate del mondo del calcio. “Noi non guardiamo la classifica”. Quante volte presidenti, allenatori e calciatori hanno pronunciato queste poche parole per non illudere, per non esporsi, per semplice scaramanzia? Il campionato è finito e sarebbe bello non guardare la classifica nemmeno stavolta. Perché, al di là dell’ottavo posto sfuggito per un soffio, i soli due punti dall’Europa League sono talmente pochi che il rammarico rischia di prendere il sopravvento. Il pensiero torna a Palermo e all’amara profezia di Maxi Lopez, e poi alla gara con l’Empoli, a quella di Marassi. Difficile dire come sarebbe andata se la squadra fosse tornata con due punti in più dalla Sicilia. No, non guardiamo la classifica perché una stagione così faticosa come quella appena terminata merita molto più che un mal di pancia e un lungo elenco di “se” e di “ma”.
Il Toro ha chiuso nel migliore dei modi un’annata ricca di emozioni. Un inizio preoccupante, tante difficoltà, la lenta risalita prima della svolta. Dall’amarezza più grande, il gol di Pirlo a pochi secondi dal fischio finale, alla rete di Quagliarella valsa il derby di fine aprile sono trascorsi cinque mesi. E in cinque mesi è successo di tutto. È arrivato dal Chievo un ragazzo di cui nell’ultimo periodo si era parlato più per le vicende amorose che per quanto mostrato in campo. Ha vinto lui, ha zittito tutti, è andato in doppia cifra, si è guadagnato la riconferma. Nel frattempo la vittoria di Bilbao e la rincorsa all’Europa League. Poi il derby, il piccolo grande furto del Barbera e la repentina discesa.
A dire che il bilancio è positivo non ci pensa mica la classifica: basta la serata di ieri. Non per il 5-0 (poca roba questo Cesena ormai retrocesso) ma per quello che si è respirato all’Olimpico prima, durante e dopo il match. È stato come assistere ad una partita nella partita: mentre in campo Maxi Lopez ispirava Martinez e tirava fuori dal cilindro la doppietta,sugli spalti i tifosi granata non avevano altro pensiero se non quello di far sentire a Glik e Darmian il loro affetto. Inutile nascondersi: il lungo applauso del terzino, visibilmente emozionato, non è sembrato quello di chi vuole dare solo l’arrivederci a dopo le vacanze. E la sorte del capitano agita il sonno di ogni tifoso. Lavoro, costanza, sacrificio, rinascita: è quello che la gente del Toro ha visto nei giocatori simbolo, motivo per cui ieri si è stretta intorno ad una squadra che ha dato anche più di quel che ci si aspettava. Sono gli stessi tifosi, però, che meritano rispetto e considerazione: hanno viaggiato in lungo e in largo, da Stoccolma a San Pietroburgo passando per Spalato e Copenaghen. Anche per loro bisogna alzare l’asticella: il mercato toglie ma il mercato può anche dare. Basta solo volerlo.