Leo Junior è considerato il calciatore straniero più forte che abbia mai vestito la maglia del Toro e ancora oggi è un mito per i tifosi granata
Leovegildo Lins da Gama, per tutti più semplicemente Junior. Leo, come lo chiamavano affettuosamente i tifosi granata, che lo hanno eletto in un amen il miglior straniero nella ultra secolare storia del Toro.
Dopo più di un decennio con la casacca del Flamengo di cui era capitano e con il quale vinse quattro titoli carioca, Leo Junior nell’estate del 1984 è il colpo del mercato granata, il capolavoro del presidente Rossi e dell’allora direttore generale Luciano Moggi: il Toro si aggiudica l’ormai trentenne campione verdeoro per una cifra superiore ai due milioni di dollari.
Trent’anni, sì, ma aveva ancora molto da dare, Leo; ed infatti prima del proprio trasferimento in granata, chiede ed ottiene precise garanzie da Radice di poter giocare anziché come terzino (ruolo ricoperto fino ad allora, su entrambe le fasce) come centrocampista, ruolo a lui da sempre più congeniale e soprattutto meno “logorante” fisicamente. Sotto la terrazza della bella sede sociale di Corso Vittorio Emanuele, in quel bollente giorno di luglio nel quale venne presentato, Torino si trasforma in Rio, con centinaia di bandiere della Seleçao al vento, ed un’orchestra che suona ritmi brasiliani.
È amore a prima vista: Leo Junior a Torino si trova a meraviglia, in campo e fuori, ed i risultati si vedono. Il Toro al termine della stagione 84/85 conquista un sorprendente secondo posto, alle spalle del Verona dei record targato Osvaldo Bagnoli.
Famose restano le sue battute in piemontese, così come le sue estrosità (solo sportive, sia chiaro) che fanno innamorare la Maratona. In panchina siede il tecnico dell’ultimo scudetto, Gigi Radice; ma il rapporto con il tecnico con il passare del tempo e, forse, in maniera fisiologica, si logora.
Nell’estate 1987 quindi, dopo tre stagioni disputate sempre ad altissimo livello, Leo Junior perde la “fiducia nel proprio comandante”, come avrà modo di dire qualche anno più tardi. Leo fa quindi le valigie e si trasferisce con la propria famiglia a Pescara da un altro “profeta” del nostro calcio, Giovanni Galeone; in Abruzzo, disputerà ancora due stagioni ad altissimo livello, per poi lasciare definitivamente il nostro paese nell’estate del 1989.
Vestirà la maglia granata ancora in un paio di circostanze, chiamato ancora una volta da Luciano Moggi per disputare alcune partite della Mitropa Cup. E’ il 1991.
Il palmarès recita 125 presenze e 19 reti tra coppa e campionato, ma Leo è stato molto di più. Estro, fantasia, lampi di classe come raramente un calciatore ha fatto vedere in maglia granata, ma soprattutto tantissima umanità che fanno di lui ancor oggi, un idolo indiscusso per la gente del Toro.