In bilico tra l’onore di celebrare la messa in memoria del Grande Torino e l’onere di farlo al posto di chi, come Don Aldo Rabino, per anni ha ricoperto il ruolo di padre spirituale del Toro, facendosi amare da tutti: dai giocatori, ai tifosi, passando per i parenti degli Invincibili. Così è stato il 4 maggio di Don Riccardo Robella.

 

“Mi sono seduto davanti alla lapide per capire cosa poter dire” ha raccontato Don Riccardo all’inizio dell’omelia, dopo aver unito simbolicamente, davanti all’altare della Basilica, passato, presente e futuro del Toro. Da una lato erano infatti presenti i parenti delle vittime dell’incidente di quel 4 maggio del ’49, insieme ad alcuni ex calciatori granata, dall’altro l’attuale squadra del Torino, con i dirigenti e lo staff tecnico al completo. In mezzo a loro tanti bambini con maglie e sciarpe granata al collo, alcuni dei quali saliti per la prima volta a Superga per il 4 maggio. Chi era presente all’interno della Basilica ha avuto davanti ai propri occhi un quadro in movimento del Toro: un insieme di valori circoscritto dalla storia, dai ricordi, dalla tradizione, dalla squadra, con un occhio sempre rivolto al passato ed uno al futuro.

“Oggi non è una festa granata. Festa è quando si vince qualcosa, quando si può andare in giro a cantare qualcosa. Noi una volta all’anno ci fermiamo e saliamo là dove la terra incontro il cielo, dove la storia diventa mito, dove il nostro tempo diventa eternità. Per chi tifa Toro non si sfugge, la morte è un avvenimento con il quale ci si deve confrontare”. È stato questo il passaggio più toccante dell’omelia, insieme al ricordo di Don Aldo, di Don Riccardo Robella (che martedì prossimo, il 10 maggio, sarà tra gli ospiti della quarta edizione del Gran Galà Granata) al suo primo commosso 4 maggio da padre spirituale del Torino.

 

 


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