Colpa della pioggia, forse, se il ricordo di Bilbao è ormai sbiadito. Il presente si chiama Chievo, ma si chiama anche Carpi, Juventus, Verona, Sampdoria. Sono solo alcune delle squadre che negli ultimi mesi, ognuna a suo modo, hanno ricordato al Toro, al suo allenatore e ai giocatori, che non basta vincere al San Mamés per pensare di vivere di rendita per tutta la carriera. Anche perché ormai le imprese le firmano gli altri e il Torino è sempre in prima fila: c’è la squadra di Ventura quando il Chievo vince per la prima volta in A contro i granata, o quando il Carpi raccoglie il primo storico successo nella massima serie, o il Frosinone mette a segno il primo gol in serie A. Non di sole imprese vive l’uomo sportivo, o alla lunga queste non basterebbero a giustificare sempre tutto.
Di certo c’è che la sconfitta contro il Chievo è solo l’ennesima figuraccia in una serie A piuttosto mediocre: e meno male, o il Toro dovrebbe preoccuparsi davvero e cominciare a guardare quello che accade alle spalle. La media delle ultime settimane è da retrocessione, ma i punti messi in cascina nel primo mese e mezzo potrebbero risultare decisivi per condurre in porto una nave che continua ad imbarcare acqua. L’eterna promessa, il fiore mai sbocciato, questo Toro: anche il più cieco si accorgerebbe che qualcosa si è spezzato.
Lodevole che il capitano della nave si sia preso la colpa dell’ultima sconfitta, ma non basta a spiegare una involuzione come quella che ha visto protagonista il Toro. Non è un black-out durato un tempo, come sottolineato dal tecnico: il problema è che la luce è spenta da mesi e sembra quasi che qualcuno abbia accettato di vivere in questa strana penombra. Quel limbo in cui non si hanno obiettivi e si tira a campare. Quella situazione in cui pensare ad una partita per volta non è frase scaramantica che nasconde intenzioni più nobili ma solo una scusa per rimandare alla settimana successiva ogni ulteriore analisi. Questo è il Toro attuale. Una squadra che ha deciso di accontentarsi: e di riflesso come “accontentiste” si leggono alcune scelte del suo allenatore, che sull’1-1, in casa contro il Chievo Verona, non rischia il terzo attaccante (come già accaduto la settimana prima con il Verona) e che sull’1-2 richiama il migliore in campo, Benassi (nessun problema fisico ma solo scelta tecnica, come dichiarato dal centrocampista), per inserire Vives. Se non si fosse assunto la responsabilità sarebbe stato quantomeno bizzarro.