Alle 22 lo stadio Olimpico è già vuoto ma sul terreno di gioco ci sono ancora i segni della vittoria. Coriandoli granata, quelli della festa appema conclusasi: il Toro ha da poco sollevato al cielo la sua prima Supercoppa, ha festeggiato di fronte a 8000 tifosi, ha gioito e raccolto un altro successo a cinque mesi dalla conquista dello scudetto. La Lazio non è più uno spauracchio: se due indizi fanno una prova, tre danno la certezza.
Quando la Primavera si riaffacciava nel calcio che conta puntualmente andava a sbattere contro la Lazio e tornava a casa: la prima volta, la seconda, poi basta. Ora è tutto il contrario, ora il Toro fa di nuovo paura. Ora il Toro vince, non si limita a partecipare. Lazio spazzata via in semifinale nel 2014, battuta ai rigori nella finale scudetto del 2015 e ora sconfitta anche in Supercoppa. Erano i laziali quelli abituati a giocare un certo tipo di partite: quella di ieri era la terza finale consecutiva in Supercoppa, diretta conseguenza di altrettante finali tra scudetto e Coppa Italia.
Ha avuto la meglio la squadra che ha cambiato di più rispetto a cinque mesi fa, visto che sei degli undici granata scesi in campo ieri dal primo minuto lo scorso giugno non erano a Chiavari. I gol, del resto, sono arrivati da due dei volti nuovi, Filippo Berardi ed Elia Bortoluz: il tutto condito dalla solita prova di spessore di Zaccagno, portiere dalla spiccata personalità, bravo a tenere a galla i suoi in quel quarto d’ora del secondo tempo in cui, preso gol, il Toro sembrava essersi disunito.
La vittoria del Settore giovanile, la vittoria di Moreno Longo: bravo a ripartire e plasmare di anno in anno squadre che in comune hanno sempre quella capacità di non darsi ma per vinte. Capacità, non solo cuore, per un gruppo che sta ancora formandosi. Peccato che, se dovessero essere confermate le prime impressioni, la stagione di Martino e Debeljuh sia a rischio.