Sabato 17 ottobre 2015, dopo anni di chiacchiere, polemiche e promesse disattese, partiranno i lavori per la ricostruzione del nuovo stadio Filadelfia. Ottantanove anni dopo la sua inaugurazione verrĂ posata la prima pietra. Quello che vi proponiamo è un viaggio attraverso i decenni che hanno segnato la nascita del Tempio granata, la sua esaltazione grazie alle gesta del Grande Torino, il suo essere luogo di aggregazione e formazione per i giovani del vivaio, fino all’abbattimento, ai tentativi di ricostruzione e alla piĂą recente costituzione dell’attuale Fondazione Filadelfia. Approfondimenti ed interviste ai protagonisti, oltre ad alcune curiositĂ legate ai personaggi che hanno reso mitico quello che non è stato solo un semplice stadio.
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“A Torino arrivai nell’estate del ’54. Ero reduce da Catania, tre campionati culminati nella prima, storica promozione in serie A. Entrai per la prima volta nel cortile dello stadio Filadelfia con un’emozione sottile, era il giorno del raduno, delle presentazioni ufficiali e dei buoni propositi. Ricordo che mi feci largo a fatica tra la gente granata che affollava il cortile, ansiosa di riabbracciare i vecchi giocatori e di far la conoscenza dei nuovi. E senza dir nulla a nessuno attraversai un breve corridoio e imboccai il sottopassaggio: quello da dove sino a cinque anni prima sbucavano Mazzola e Gabetto, Castigliano e Maroso. Salii quei gradini col respiro affannato. Una volta in campo, lessi sulla vecchia tribuna di legno la scritta: ex igne fax ardet nova.” (Gian Paolo Ormezzano, Enzo Bearzot, Andrea Claudio Galluzzo, Il Toro e il Giglio).
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Quando, un tempo, si parlava di Torino, si parlava di una “fucina di talenti”. Espressione spesso inflazionata, ora; espressione quanto mai vera, allora. Far rinascere il Filadelfia non è un capriccio dei tifosi, o un nostalgico ritorno al passato sperando di poter rivedere un Toro d’alta classifica così, solo con uno stadio nuovamente in funzione. Il Filadelfia era una Cantera – altra parola inflazionata oltremisura (pure straniera: ancora piĂą di moda) – ante litteram. Un luogo dove i nuovi giocatori venivano forgiati tecnicamente e caratterialmente, dove il discorso della continuitĂ , dell’autarchia pallonara riusciva a sublimarsi come una macchina perfettamente funzionante.
Fino al 1994, quando lo stadio venne dichiarato inagibile dopo una serie di proroghe di fronte a progetti difficilmente realizzabili e mai realizzati (e a Calleri, presidente dell’epoca, del Filadelfia importava molto poco), allenarsi al Filadelfia poteva aprire le porte al professionismo del calcio per moltissimi ragazzi che avevano la possibilitĂ di lavorare a stretto contatto con la prima squadra, con i giocatori giĂ affermati: il modo migliore per imparare i trucchi del mestiere. E infatti, il Fila, per anni e fino all’ultimo, di campioni o giocatori che poi si sarebbero fatti strada nelle massime categorie del calcio italiano (e non) ne ha sfornati parecchi. Da Comi a Benedetti, da Cravero a Lentini, da Bresciani a Di Donato (che nel Toro non sfonderĂ ma che, quando interpellato, ricorda sempre e solo una cosa: “Il bellissimo campo del Filadelfia”) a Christian Vieri: sono solo, questi sette, una goccia di un mare vastissimo, che dimostra quanto, e non solo per il Toro, il Filadelfia abbia saputo fare per il calcio italiano.
La formula era semplice: c’era un cortile, dove ci si ritrovava, tutti insieme. C’erano gli spogliatoi separati, uno nel corridoio di destra, l’altro in quello di sinistra, dove però non era impossibile entrare in contatto (e Antonio Comi ricorda come se fosse ieri il suo primo e unico incontro con Ferrini: “Ero appena arrivato al Filadelfia, venni chiamato da Giagnoni nell’altro spogliatoio e, con lui, c’era Ferrini che mi scrutava per capire che tipo fossi”). C’erano i tifosi. Tanti, che quotidianamente facevano “un salto al Fila” per vedere le squadre allenarsi, scambiare quattro chiacchiere con i giocatori granata, magari andando al bar del dopolavoro Fiat proprio in via Filadelfia: perchĂ© giocatori e tifosi erano davvero un tuttuno.
Era la forza del Torino, che partiva proprio dal Fila. Una componente esplosiva, perchĂ© permetteva di approcciarsi al mondo del pallone non solo sotto l’aspetto tecnico, ma anche da quello ambientale: e in uno sport competitivo come quello del calcio, questa componente è fondamentale. La Fabbrica del Fila è stata un modello per moltissime altre societĂ : inimitabile per alcuni versi, riproducibile per l’impostazione organizzativa che aveva saputo darsi. E che per anni ha ampiamente contribuito a dare lustro al calcio italiano. Granata, ma non solo.
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 Parte 1 / Stadio Filadelfia: così è nata la casa del Toro
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 Parte 2 / Stadio Filadelfia e Grande Torino: un binomio divenuto leggenda