Uno degli ultimi romantici del calcio. Di quel calcio fatto di genio, estro e fantasia. Claudio Sala ha da poco compiuto 21 anni quando esordisce in serie A con la maglia del Napoli dove è stato scelto come erede di Sivori. Per lui, infatti, ci sono molti presidenti pronti a far follie, e alla fine la spunta Orfeo Pianelli, che stacca un assegno da 470 milioni al presidente Lauro e si assicura le prestazioni del ragazzo di Macherio.
Alza quasi subito la coppa Italia (stagione 1970/71) diventando sempre più, anno dopo anno, pedina insostituibile nello scacchiere granata, prima con Cadè e successivamente con Giagnoni e Fabbri. Ma è con Gigi Radice che Claudio diventa per tutti il “poeta del gol”. Il tecnico gli mette sulle spalle un inusuale numero 7 che Sala all’inizio non gradisce. Ma quando la macchina olia i meccanismi, Sala esplode: inizia a disegnare parabole mirabolanti e traiettorie incredibili dalla fascia destra, pennellando cross che i gemelli Pulici e Graziani trasformano puntualmente in gol, portando il Toro sul tetto d’Italia, ventisette anni dopo Superga, ventisette anni dopo gli Invincibili. Di quella squadra non è solo il capitano, è uno dei trascinatori e uno dei leader dello spogliatoio.
La sua militanza in granata dura altre quattro stagioni, dove il Toro post scudetto (eccezion fatta per la stagione 76/77, quella dei 50 punti) non riuscirà però più ad imporsi alla Juve. Giocatore tecnicamente straordinario, raccoglie in Nazionale molte meno soddisfazioni di quelle che in realtà avrebbe meritato, mettendo assieme appena una ventina di presenze chiuso nel proprio ruolo da Causio, sicuramente aiutato dallo strapotere juventino di quegli anni. 360 presenze in oltre un decennio in serie A lo collocano al quarto posto tra i granata più gettonati, alle spalle di autentici miti come Ferrini, Pulici e Zaccarelli. Con un posto speciale da sempre, nel cuore dei tifosi.