Sono trascorsi 10 anni dal fallimento del Torino Calcio e dalla nascita del Torino FC: dieci stagioni che andremo a ripercorrere attraverso le voci dei protagonisti. Dall’annata 2005-2006, quella dell’immediata promozione, passando per gli anni della Serie B fino ad arrivare alle più recenti, con il ritorno in Europa dopo oltre vent’anni. 

 

La stagione 2010/2011 doveva essere quella del riscatto dopo la promozione svanita nella finale playoff contro il Brescia l’anno precedente. Per quel campionato Cairo affidò la guida della squadra ad un ex ragazzo del Fila, un cuore granata: Franco Lerda. Le cose però non andarono nel verso giusto e il Torino terminò il campionato, tra i fischi dei suoi tifosi, all’ottavo posto in classifica.

Qual è stata la prima impressione che ha avuto di Cairo?
Molta buona. Cairo è una persona molto in gamba, che sa il fatto suo e che ha dimostrato di saper fare bene anche nel mondo calcio. Sin da subito mi fece una buona impressione.

 

È vero che l’aveva convinto a puntare su di lei spiegandogli le tattiche con le molliche del pane al ristorante?
Questo è un episodio che risale all’anno precedente al mio arrivo al Toro. Cairo mi chiamò per parlare di un giocatore che avevo allenato alla Pro Patria, ci incontrammo a Milano con anche l’allora direttore sportivo del Torino e, durante la serata, finimmo per parlare anche di calcio in generale. Lì al tavolo spiegai allora qualche tattica.

Che rapporto aveva con Cairo quando era allenatore del Toro?
Molto buono, ci sentivamo spesso anche se ci vedevamo poco. Non si intrometteva mai sulle questioni di campo, è sempre stato super corretto. Chiaramente si informa, chiedeva, come d’altra parte penso che sia giusto che un presidente faccia, visto che è lui a mettere i soldi. Nella mia carriera, quando ho avuto a che fare con presidenti come Cairo, che si interessavano così alla squadra, sono sempre stato contento.

Nella stagione in cui allenò il Toro non fu centrato l’obiettivo della promozione. Cosa non funzionò quell’anno?
Io arrivai al Toro in un momento in cui non era semplice vincere. Quell’anno la rosa fu anche costruita in ritardo, tanto che andai in ritiro con pochissimi giocatori che furono protagonisti poi di quel campionato. Molti erano poi solamente in prestito e tra quelli sotto contratto ce n’erano parecchi che non erano più nel loro momento migliore. A Torino per fare bene devi avere la squadra pronta quasi al 100% già dal primo giorni di ritiro. A rallentare il nostro percorso ci si mise poi anche qualche infortunio. In campionato siamo partiti male, poi ci siamo ripresi finendo bene il girone d’andata, ma da gennaio abbiamo poi ripreso a balbettare un po’.

Col senno di poi, ci sono delle cose che non rifarebbe?
Tutto quello che ho fatto lo rifarei, ma so come funziona il calcio: a volte non basta lavorare bene, lavorare in un certo modo.

Esonerarla, per poi richiamarla in panchina dopo due giornate, fu secondo lei un errore? Se fosse rimasto crede che il finale del campionato sarebbe potuto essere differente?
Il mio esonero durò solo qualche giorno, quando tornai ottenemmo qualche buon risultato e qualcuno disse che ero cambiato io. Ma in nove giorni non potevo essere cambiato, avevamo semplicemente ripreso il lavoro lasciato prima dell’esonero. In quelle due partite in cui fu chiamato Papadopulo, contro il Frosinone e il Livorno, il Toro non ottenne neanche un punto. Con il senno di poi poso dire che se avessimo avuto due punti in più a fine campionato avremmo poi fatto i playoff per salire in serie A.

 

Le piace il Torino attuale? Dove crede che possa arrivare?
Il Toro lo seguo, certo, ma seguo tutto il calcio in generale, dalla Champions alle partite dei miei figli in Eccellenza. Il Toro in questi anni ha fatto bene: adesso c’è fiducia, autostima, giocatori di proprietà e già pronti per centrare gli obiettivi. Quest’anno è stata fatta una campagna acquisti buona, confermarsi certo è difficile, però le possibilità ci sono.

 

Da esterno, le sembra di vedere un Cairo diverso rispetto a quello che è stato il suo presidente?
Come in tutte le cose, uno, come si suol dire, “non nasce imparato”. Dopo dieci anni una persona intelligente, come lo è Cairo, è normale che migliori. La fiducia e i risultati, poi, ti fanno lavorare ancora più serenamente. Anche la piazza, che è molto esigente, ti fa lavorare meglio. Cairo ha fatto tesoro degli errori commessi in passato, adesso è uno tra i più bravi presidenti che ci siano. Ha passato momenti brutti, ma ha tenuto botta e quando superi questi momento, come ha fatto lui, ne esci più forte.