Sono trascorsi 10 anni dal fallimento del Torino Calcio e dalla nascita del Torino FC: dieci stagioni che andremo a ripercorrere attraverso le voci dei protagonisti. Dall’annata 2005-2006, quella dell’immediata promozione, passando per gli anni della Serie B fino ad arrivare alle più recenti, con il ritorno in Europa dopo oltre vent’anni. 

 

Sessantadue presenze e diciassette gol in una stagione e mezza con la maglia granata. L’avventura di Mirco Antenucci al Toro è stata breve, ma ricca di emozioni: dalla delusione per la sconfitta contro il Padova, alla festa promozione della stagione successiva, passando per la contestazione dell’agosto 2011 e il gol contro la Sampdoria. Nel 2011-2012 riuscì a conquistare la fiducia del neo-allenatore Ventura e divenne perno insostituibile di un attacco che avrebbe trascinato i granata alla promozione diretta. Non a caso fu proprio Antenucci il capocannoniere granata in quella stagione. Tanta corsa, dribbling e spirito di sacrificio. Le sue prestazione non bastarono, però, per guadagnare la riconferma nella stagione successiva, quella del ritorno in Serie A. 

 

Il primo approccio con il presidente Cairo: telefonata o incontro faccia a faccia?
Ho incontrato il presidente qualche giorno dopo il mio arrivo a Torino e si è mostrato subito disponibile cordiale. Cairo è sempre stato molto vicino alla squadra: veniva a vedere spesso le partite, anche le amichevoli, e ogni tanto scendeva nello spogliatoio a parlare con la squadra. Era una presenza costante, ma non ingombrante.

 

Che Cairo ha visto durante il periodo della contestazione del 2011, quando si aprì il ciclo-Ventura?
Era ovviamente amareggiato e dispiaciuto per la situazione, però non aveva perso l’ottimismo: era sicuro che il Torino sarebbe ritornato a calcare i palcoscenici che meritava. Questa sua fiducia è stata importante per superare lo shock della sconfitta contro il Padova e per ricostruire il Torino sotto la guida di Ventura. I risultati, finalmente, gli hanno dato ragione.

 

Cosa vi ha detto in spogliatoio dopo la promozione?
E’ stata una grossa gioia per tutti. Dal presidente ai magazzinieri, passando per noi giocatori. E’ stato entusiasmante esultare sotto la pioggia dopo la vittoria contro il Modena, per non parlare della festa promozione: qualcosa di indimenticabile. Per Cairo è stata sicuramente una liberazione. Dopo tante delusioni era riuscito a tornare in Serie A.

 

Che ricordi ha del presidente in quella giornata di festa?
Dopo la vittoria contro il Modena, ci ha raggiunto nello spogliatoio e ci ha parlato: era scatenato (ride, ndr)!
La gioia era davvero tanta. Ha condiviso con noi le occasioni tristi ed è stato con noi anche nei momenti di festa. Certamente l’immagine più bella di Cairo è stata quella.

 

La separazione dal Torino è stata conflittuale o di comune accordo?
Non è stata di comune accordo, perché io volevo rimanere. Credevo di essermelo meritato sul campo in quella stagione. Però non è sempre semplice trovare gli accordi tra le società, soprattutto quando ci sono parecchi soldi in ballo.  Il presidente mi chiamò direttamente il giorno dopo l’apertura delle buste (Antenucci era in comproprietà con il Catania che si garantì le prestazioni dell’attaccante con un’offerta da 1,1 milioni di Euro, ndr) e mi disse, in maniera sincera, che era molto dispiaciuto. Mi promise che avrebbe provato a prendermi di nuovo nelle settimane seguenti. So che ci sono state delle trattative, ma purtroppo non andarono in porto.

 

Ha ancora rapporti con il Presidente Cairo?
No, da quella telefonata, dopo il mio passaggio al Catania, non ci siamo più sentiti.

 

Con altri suoi ex compagni in granata?
Sì, certamente. Siamo rimasti molto amici. Sento ancora Di Cesare, con cui condividevo la stanza, Sgrigna e Darmian. Matteo, adesso vive a quaranta minuti da me e ci siamo sentiti spesso in questo periodo.

 

Chi è che l’ha introdotta nel Mondo Toro?
I più “vecchi” ci hanno aiutato e ci hanno spiegato molte cose, ma anche tanti miei amici del Torino mi avevano già parlato della storia, di Superga e del Grande Torino. Ero consapevole di che maglia mi apprestavo a indossare, ma viverlo è sicuramente un’altra cosa.

 

Che ricordi ha della cerimonia di Superga?
Tanta emozione: ricordare quei ragazzi, la voce di Bianchi che leggeva i nomi sulla lapide e le parole di Don Aldo in chiesa sono cose che ti rimangono dentro.

 

Il suo ricordo di Don Aldo Rabino?
Ho saputo della sua triste scomparsa e penso che una figura come la sua possa mancare molto a Torino e al Toro. Era una persona incredibile, perché faceva tante cose per noi: ci stava vicino, veniva il venerdì sera a celebrare la Messa, stava vicino ai ragazzi e faceva moltissime opere di bene. Era speciale.

 

Cos’ha fatto fare il salto di qualità al Toro in questi ultimi anni?
Sicuramente il fatto di aver preso un allenatore come Ventura ha fatto la differenza, perché ha saputo rivoluzionare l’ambiente Toro. A questo si aggiunge una buona struttura societaria e degli ottimi giocatori. Adesso la squadra è molto competitiva e un attaccante come Quagliarella ha fatto e farà sicuramente la differenza.

 

Il ricordo più bello e quello più brutto del suo anno e mezzo con la maglia granata?
Il giorno della promozione è stato il coronamento di una stagione esaltante ed è stato il momento più bello che ho vissuto al Toro. Il campionato di Serie B era molto più difficile di quello di oggi, perché vi erano molte squadre forti e blasonate.
I momenti più tristi sono stati la sconfitta contro il Padova nel 2011, che ci estromise dai playoff, e il giorno in cui mi è stato comunicato che non facevo più parte del Torino. Bisogna, però, avere sempre la forza di ripartire.

 

Ora è protagonista in Inghilterra con la maglia del Leeds. Cosa dovrebbe imparare il calcio italiano da quello inglese?
In Inghilterra hanno cambiato completamente la cultura calcistica, dopo che sono successi tanti brutti episodi. Hanno costruito stadi nuovi e vivono la partita in maniera completamente diversa. Lo stadio è pieno di famiglie e non ci sono forze dell’ordine. Tutto questo fa sì che ci sia un clima un po’ diverso rispetto a quello che si vive in molti stadi d’Italia. Però il calcio italiano rimane uno dei più affascinanti e in Inghilterra è ancora molto apprezzato.