Nato a Torino e cresiuto nel Filadelfia, Vincenzo Esposito, ex giocatore del Toro e attuale dirigente del Prato, in esclusiva per Toro.it, traccia il profilo di Alen Stevanovic, che portò nella Primavera dell’Inter quando era l’allenatore dei nerazzurri, e racconta le sue giovani emozioni a tinte granata. Toro e Prato sempre nel cuore.
Lei ha allenato Stevanovic nella Primavera dell’Inter nel 2009. Che tipo di giocatore è?
Sono uno di quelli che ha contribuito all’acquisto di Stevanovic: in quel momento era un’operazione intelligente per l’Inter. E’ un ragazzo che ha sempre avuto grandissima forza, capacità di dribbling e di inserimento. Sul piano fisico, aerobico e tecnico ha da invidiare a pochi, spesso ha avuto problemi a livello mentale, ma tecnicamente è pronto per la Serie A.
Ventura lo sta provando nel ruolo di interno di centrocampo, potrebbe essere una soluzione intelligente?
Il tecnico granata è capace di trasformare il nulla in oro e Stevanovic non è il nulla.
Sicuramente questa possibile soluzione è intrigante, perché se si riesce ad abbinare la forza di Stevanovic alla capacità di sacrificio, il risultato potrebbe diventare devastante per gli avversari.
I ricordi della sua gioventù in maglia granata?
Sono nato e maturato a Torino. Sono cresciuto tifoso del Toro e quindi è chiaro e evidente che aver fatto il percorso nel settore giovanile granata dagli undici anni alla prima squadra ha rappresentato una parentesi felice. Per me il Toro di quel momento era tutto: era il Toro di Claudio Sala, di Pulici e Graziani, delle formazioni imparate e memoria. Poi il ricordo del Filadelfia, di quel magnifico cancellone che mi ha aperto le porte di un campo storico. Il ricordo dei personaggi della prima squadra e degli addetti al settore giovanile è ancora vivo in me. Erano tutti riferimenti importanti per i giovani e tanti di questi hanno poi fatto una grande carriera nel mondo del calcio. Dentro il Fila si respirava una straordinaria cultura e una straordinaria passione per il calcio. Chiaramente l’approdo in prima squadra è stato un passo estremamente importante. Io non vivo di ricordi, non sono neanche nostalgico, però è stata sicuramente una parte importante della mia vita.
C’è un giocatore in particolare che ricorda con affetto tra quelli che l’hanno accolta nella Prima Squadra del Torino?
Tantissimi, davvero tantissimi. Con alcuni sono stato assieme anche in futuro nel mio percorso professionale, come con Luciano Castellini. Un affetto smisurato, non riuscivo a essere obiettivo di fronte a quei giocatori: facevo tesoro di qualsiasi cosa mi dicessero. Ho poi conosciuto bene Patrizio Sala, Claudio Sala, Zaccarelli, Castellini e Pulici. Erano i miei miti di quel periodo e rimarranno sempre nella storia mia, del Toro e del calcio italiano.
Ha avuto modo di seguire l’ultima stagione del Toro? Come la giudica?
Il Toro lo seguo sempre, non riuscirei a farne a meno. Ha fatto un’annata buonissima considerando che si deve confrontare con una struttura economica che lo pone in una fascia che è a ridosso di quelle sei squadre che dominano il calcio italiano. Il Toro ha però ottenuto tantissimo prestigio, onorando una maglia storica, facendo delle grandissime prestazioni sul campo e andando a dare fastidio a tutte le squadre italiane e europee che ha incontrato. Tutto questo con un calcio piacevolissimo: organizzato, dinamico e tecnico. Sicuramente è stata una delle annate migliori degli ultimi vent’anni.
C’è un giocatore simbolo di questa stagione?
Mi piace molto il lavoro dei centrocampisti e l’abnegazione di Gazzi, ma se devo fare un nome dico Matteo Darmian, perché ho apprezzato lo straordinario miglioramento di questo ragazzo. Io l’avevo incontrato quando allenavo l’Inter Primavera e lui era nel Milan, faceva il capitano, ma era centrale difensivo. Poi con il tempo l’ho visto trasformarsi fino ad arrivare a un livello straordinario tanto da guadagnarsi la chiamata di un Club come il Manchester United. Quindi se devo fare un nome dico Darmian per il percorso, per l’umiltà e per l’intelligenza.
Quali possono essere obiettivi Toro per la prossima stagione?
Gli obiettivi sono pericolosi perché dopo un’annata positiva e bella è molto difficile alzare l’asticella, ma il Toro lo vorrà fare e lo dovrà fare: nel calcio è d’obbligo provare a migliorarsi. Il punto di partenza deve essere quello della stagione passata. Ventura è una persona estremamente capace e intelligente che sa perfettamente quanto sarà difficile, ma mi auguro che il Toro riesca nuovamente a migliorarsi e a stupire.
Lei cosa farà nella prossima stagione?
Da anni ho un bellissimo rapporto con il Prato e quest’anno ho deciso di abbandonare il ruolo di allenatore, dopo 18 anni di fila, per provare un’esperienza “dietro le quinte”. Mi occuperò di diversi aspetti della società.
Visti i tantissimi anni passati in questa società, prima da allenatore e poi da giocatore, cosa significa per lei il Prato?
Ho fatto un percorso molto lungo in questa società. Prato rappresenta la mia città, il luogo dove mi sono fermato a vivere e dove ho cresciuto i miei figli. Parallelamente ho trovato un rapporto viscerale con una presidenza che ho trovato, lasciato e ritrovato come si fa con i grandi amori, da 35 anni. Sono venuto qui nel 1982, ci sono ancora e c’è sempre la stessa presidenza: per sempre Prato.