È una stagione anomala quella vissuta dai tifosi granata nel 1988-89. La squadra, reduce dal buon settimo posto della stagione precedente, viene rivoluzionata a partire dalla sua legione straniera; via l’attaccante austriaco Polster, così come il centrocampista danese Klaus Berggreen, scoperta ed antico pallino del presidente pisano Anconetani, in partenza per la capitale sponda giallorossa.
Al loro posto ecco due brasiliani, Edu Marangon e la giovane promessa Luis Muller, attaccante dal grandissimo genio ma soprattutto tanta sregolatezza, che verrà ricordato più per le bizze e gli eccessi fuori dal campo che per quello che ha realmente dimostrato con la maglia granata sul rettangolo verde. A loro si affianca lo jugoslavo Haris Skoro, che andrà così a rinforzare il reparto offensivo che contempla – oltre a Muller – anche il giovanissimo Zago. Il campionato inizia male, con la sconfitta in casa per mano della Samp. Un solo acuto all’Olimpico di Roma a fine novembre (1-3 ai giallorossi) non basta per dare serenità all’ambiente e per Gigi Radice, lo storico tecnico dell’ultimo scudetto granata, arriva il momento del capolinea dopo la sconfitta a Bologna. Via Radice, dunque, cui parte della tifoseria addosserà colpe non sue, dimenticando le promesse fatte in estate da una dirigenza miope che parlava addirittura di tranquillo piazzamento europeo. Al posto di Radix siede in panchina uno dei più rappresentativi ragazzi del ’76, quel Claudio Sala che però non ripeterà da allenatore gli stessi dribbling favolosi che avevano fatto sognare la Maratona. I risultati, infatti, non arrivano, e la contestazione cresce. Verso la fine del campionato il duo dirigenziale Gerbi-De Finis passa la mano ad un imprenditore piemontese del quale si sentirà molto parlare, Gian Mauro Borsano.
La squadra però non riesce a cambiare passo: il gruppo è tecnicamente valido ma disorganizzato, e alla prima difficoltà affonda, anzitutto sul piano caratteriale. Così alla 29° giornata, al San Paolo, il Napoli di Maradona festeggia la vittoria della coppa Uefa, calando un poker che costa la panchina anche a Sala. Per il terzo cambio stagionale, il neo presidente Borsano opta per la soluzione interna, affidando la conduzione tecnica al mago della primavera, quel Sergio Vatta padre sportivo di tanti campioni granata, passati e futuri. Il Toro sembra crederci, vince 3-2 a Como uno scontro salvezza importantissimo; poi batte addirittura l’Inter dei record neo campione d’Italia al Comunale, con un 2-0 firmato Muller e Cravero che ridà speranza ai cuori granata. Si arriva così al 25 giugno 1989: in migliaia seguono il Toro dall’altra parte d’Italia, a Lecce sono in programma novanta minuti che valgono un’intera stagione. Arrivano con ogni mezzo, dagli aerei ai treni speciali, qualcuno anche in auto. Ma il Toro ha già perso prim’ancora di scendere in campo, con la testa più che con le gambe, tanto che dopo mezz’ora va sotto, grazie al colpo di testa del Benedetti “sbagliato”, quello salentino. Poi raddoppia l’argentino Barbas, con un colpo di fioretto che taglia le gambe alle speranze ai granata. Ci pensa Fuser con una punizione dal limite calciata con tutta la disperazione possibile a riportare il Toro sulla terra, ma l’illusione dura pochi minuti: dal pasticcio Marchegiani–Sabato, arriva il tris del leccese Paciocco. E così, mestamente, il Torino per la seconda volta nella propria storia, dopo trent’anni, scende in serie B con la consapevolezza di essere stato, questa volta sì, tra le tre peggiori del campionato.
“Ci siamo giocati la serie A, ma non ci siamo giocati il futuro di questa Società“, dirà l’ingegner Borsano nella pancia dello stadio di via del mare appena terminata la gara. Ciò che invece i tifosi non sanno, è che purtroppo quel caldo pomeriggio di giugno non sarà che la prima di una lunga serie di pagine amare, per il Toro e per la sua gente.