Prima puntata del libro intervista di Gigi Marengo dal fallimento del Torino Calcio, al Lodo Petrucci, fino all’arrivo di Cairo: “La gravità della situazione venne sottovalutata”
Comincia oggi la prima puntata del libro-intervista a Pierluigi Marengo sulla convulsa estate del 2005, coincisa con il fallimento del Torino Calcio di Cimminelli, con l’arrivo dei Lodisti e con la successiva compravendita della società, trattata da Urbano Cairo. Seguiremo passo dopo passo ogni avvenimento di quell’estate così travagliata per i tifosi del Toro. A questa pagina potrete trovare lo schema preciso di tutte le puntate.
Per sviscerare al meglio quanto avvenne nel 2005 e come l’attuale Presidente Urbano Cairo acquisì da lei il Toro che salvasti dalla morte con il Lodo Petrucci, partiamo dall’inizio, dal come maturò l’idea di ricorrere al Lodo Petrucci.
L’inizio è un momento che amo particolarmente ricordare, anche perché, dopo aver letto le più strane dietrologie su vari giornali, mi piace ricordarne la sua genuina casualità, fatta solo di amore verso il Toro. Nulla di studiato, nessun piano elaborato, solo la pura ed autentica passione per il Toro.
L’angelo del Filadelfia Gianni Bellino, in quegli anni, era di casa da me in ufficio. Con il suo grande aiuto sul campo, si erano poste in essere svariate iniziative per salvare il Filadelfia dai palazzi e dal supermercato. Domenica 3 luglio mi telefona; io sono a Sauze d’Oulx. Mi comunica di aver indetto una riunione presso il mio ufficio per il pomeriggio di lunedì. Nonostante le mie richieste, non mi dice nulla sull’argomento della riunione e su chi siano i convocati. Ma Gianni è fatto un po’ così… ogni tanto ama essere misterioso. Pensai fosse un vederci per parlare di Filadelfia, anche se in quei giorni, era da poco mancato mio padre, non avevo forza e voglia di aprire nuove battaglie.
Il pomeriggio successivo arrivano nel mio studio i convocati da Bellino. Arriva Sergio Rodda, arriva la notaio Francesca Ciluffo, arriva Alex Carrera, arriva Marco Cena ed, in ultimo, arrivano Gianni ed il compianto Adriano Dal Farra. Ci sediamo in sala riunioni, tutti all’oscuro sul motivo della convocazione. Subito Gianni entra in argomento e testualmente ci dice in piemontese: “ho letto sulla Gazzetta che si può salvare il Toro dal fallimento usando il logo Petrucci… vi ho convocati per farlo. Dobbiamo salvare il Toro.”
Cadiamo letteralmente dalle nuvole, mentre Adriano Dal Farra, che già era informato delle intenzioni di Bellino, dice bonariamente: “l’è mat”. Avendo tutti attentamente seguito quanto stava avvenendo in società, eravamo certamente consci che il fallimento del Toro, da possibile, diveniva ogni giorno sempre più probabile, ma nessuno di noi era a conoscenza di quel logo Petrucci di cui ci stava parlando Bellino. Comunque, sapendo che Gianni ci vede lungo, non lascio cadere la cosa e mi riservo di capirci di più sentendo la Federazione a Roma. Il mattino dopo telefono alla F.G.C.I.. Chiamando come avvocato, non ho difficoltà a superare i vari filtri ed a essere messo in linea con un simpaticissimo legale della Federazione, responsabile delle procedure per le crisi delle società professionistiche
Subito mi precisa che il logo Petrucci, indicatoci da Bellino, in realtà è il Lodo Petrucci, ovvero una procedura applicabile al caso di fallimenti sportivi di squadre professionistiche di serie A e B. Mi indica inoltre gli estremi della normativa e le modalità di accesso alla medesima.
A quel punto scoppia la rivoluzione nel mio studio legale. Tutti a reperire le documentazioni ed a studiarle. La mia segretaria al computer per scaricare tutto ciò che è reperibile sul sito della Federazione e della Lega Calcio; una mia collaboratrice a fare la prima scrematura dei fogli che a ritmo continuo sputa la stampante ed io a studiare una normativa calcistica che, sino ad allora, mi era sconosciuta. Al cellulare Bellino, affamato di notizie sull’andamento dei lavori. Dopo circa dieci ore di analisi ed approfondimento delle così dette Carte Federali, ho la chiara sensazione che si possa fare. Che si possa salvare il Toro dal fallimento mediante il Lodo Petrucci. Alle 11 di sera telefono a Rodda, chiedendogli di venire da me in ufficio il mattino successivo insieme a Bellino e Cena. Il Lodo Petrucci sarebbe partito. È mercoledì 6 luglio; dopo un’intera giornata e serata passata a studiare la procedura, a mezzanotte vado a dormire senza aver cenato ma convinto che giovedì 7 luglio 2005 avrebbe potuto divenire una data storica per il Toro.
In quei giorni sui media non si dava assolutamente per scontato il Fallimento del Torino, anzi la cosa veniva vista solo come remota possibilità che difficilmente si sarebbe concretizzata. Quale fu l’elemento che invece dava la certezza che il Torino sarebbe fallito, nonostante le autorevoli voci contrarie, tanto da indurti a partire con il Lodo Petrucci?
Ovviamente tutti noi, e per noi intendo in particolare Rodda e Bellino, si era speranzosi in un salvataggio dell’ultima ora. In quei giorni mi sono consumato gli ammennicoli, a forza di stringerli ogni volta che accendevo la televisione per avere notizie sull’andamento delle varie trattative e procedimenti che interessavano il Toro. Noi, come tutti i veri tifosi, volevamo ovviamente il Toro in serie A, regolarmente iscritto al campionato. Il Fallimento lo si viveva con un incubo, come una tragedia che stava montando ogni giorno di più.
Ma al tempo stesso ero realista e, anche grazie alla mia cultura giuridica, mi rendevo conto che difficilmente il Toro avrebbe potuto uscire da quel tunnel infernale in cui si era cacciato. Mi rendevo conto che l’incubo era la viva realtà e non frutto di un sonno agitato da demoni.
E poi non mi convincevano assolutamente la diagnosi e la prognosi che i tanti medici chiamati al capezzale del Toro di volta in volta comunicavano ai giornali. Mi parevano meri palliativi per i tifosi, piuttosto che reali cure finalizzate alla guarigione. Neppure mi convinceva la cronaca giornalistica che quotidianamente leggevo. Ed ancor meno mi rassicuravano le ottimistiche (ed incoscienti, visto i successivi fatti) parole della società, quotidianamente spese per rassicurare la tifoseria.
In quei momenti ho voluto attenermi sono ai dati reali che la situazione palesava, rendendomi impermeabile e scevro da ogni condizionamento mediatico.
I dati oggettivi sui cui ragionare per me sono stati i seguenti:
-il Torino Calcio spa non aveva approvato il Bilancio nei termini previsti dalla F.I.G.C. per l’iscrizione al campionato: 25/5/2005 ed il bilancio, per una società, è come la carta d’identità per una persona fisica; senza il bilancio approvato non puoi andare da nessuna parte, nessuna porta ti può essere aperta.
-i Sindaci della ERGOM spa, la società di Ciminelli da cui il Toro era quasi interamente partecipato, non diedero il parere favorevole per l’approvazione del Bilancio consolidato, da approvarsi entro il 30/6/2005, ovvero, detto in parole comprensibili, non approvarono il bilancio ERGOM integrato con il bilancio del Torino Calcio.
-in data 2/7/2005, a seguito dell’esplosione del caso della famosa falsa fidejussione Gallo, la Guardia di Finanza aveva proceduto ad una perquisizione all’interno degli uffici del Torino Calcio spa, sequestrando svariata documentazione contabile.
-la pesantissima situazione debitoria del Torino Calcio spa rendeva chiaro che nessun imprenditore avrebbe comprato la società da Ciminelli, neppure a costo zero; il valore della società era estremamente inferiore al carico di debiti che la stessa aveva.
-nessun intervento pubblico vi poteva essere, lo vieta la legge, sia in ambito di contabilità di stato che di normativa europea.
-allo stato dell’arte, nessuna banca, anche alla luce delle normative sul credito bancario nazionali ed europee, avrebbe potuto intervenire con finanziamenti e/o fidejussioni a favore del Torino Calcio spa.
Tutti elementi oggettivi che qualunque giurista non può che leggere, comparandoli con le Carte Federali normanti l’iscrizione al Campionato, quali preciso presupposto per la declaratoria del fallimento sportivo; tant’è che così è stato il 9/7/2005, allorché la Co.Vi.So.C. (Commissione di Vigilanza sulle Società di Calcio) ha bocciato il Torino Calcio per irregolarità varie di gestione societaria, con conferma di decisione in tal senso data in data 14/7/2005 dalla Co.A.Vi.So.C. (organo di appello sulle decisione della Co.Vi.So.C.), due pronunciamenti delle Corti Federali da cui è scaturito il provvedimento della F.I.G.C. di non iscrizione alle competizioni professionistiche (Campionato e Coppa Italia) del Torino Calcio spa. Su queste basi e nonostante l’ottimismo mediatico di quei giorni, avevo quindi maturato la convinzione che il Torino Calcio spa non potesse che trovare al fondo del tunnel il proprio fallimento.
Ovviamente il cuore ci portava comunque a sperare di sbagliarci e ben volentieri saremmo stati tra i primi a festeggiare sotto la sede se i vari organismi federali avessero cambiato rotta iscrivendo il Toro alla Serie A. Bellino, che è astemio, aveva persino fatto voto di ubbriacarsi di grappa se ciò fosse avvenuto e, Rodda ed io, avevamo fatto voto, in tal caso, di portarlo a spalle ubbriaco a Superga. Ma il cervello ci diceva il contrario, escludendo ogni speranza… e purtroppo vince quasi sempre il cervello, raramente il cuore prevale.
Questa volta direi che comunque il cuore ebbe un importantissimo ruolo, per pensare di lanciarsi in quell’impresa.
Su ciò non so cosa risponderti… non so se è stato il nostro cuore granata a farci andare avanti o la follia che comunque è nel DNA di ogni tifoso del Toro. Certamente non è stato il cervello a guidarci in quel momento, viste le difficoltà a cui andammo incontro e l’abnegazione che ci richiese, e richiese alle nostre famiglie, quell’impegno. Ferie saltate. Con in programma di recarci in Portogallo, ho semplicemente detto a mia moglie che salvare il Toro è cosa immensamente più importante di ogni altra, vacanze comprese. Come me fecero Rodda e Bellino. Il Toro per noi veniva prima di tutto (e qui è il cuore che parla) e solo un’impresa folle poteva dare speranza di tenerlo in vita, di non farlo sparire per sempre dopo novantanove anni di passioni, lacrime, gioie, dolori… pensa se gli immortali di Superga, o Gigi Meroni o Giorgio Ferrini, guardano dalla nuvoletta, non avessero più visto le maglie granata in campo… pensa se le gloriose curve, i pretenziosi distinti, la snobbistica tribuna non si fossero più riempite domenicalmente di popolo granata… puoi forse immaginare tragedia peggiore… Ed allora via alla follia di quel momento, una follia di cui eravamo tutti consci e che abbiamo accettato totalmente.
Ed a bocce ferme, passati ormai quasi tredici anni da quei momenti, posso assicurarti che lo rifarei in tutto e per tutto. L’aver salvato il Toro, insieme a Rodda e Bellino, è il maggior orgoglio della mia vita pubblica. Al confronto, tutto ciò che di altro ho fatto, dalla professione di avvocato al consigliere Regionale del Piemonte, scompare. Sentirmi ancora oggi ringraziare con estremo affetto dal popolo granata è una soddisfazione che per me non ha eguali. L’aver messo me stesso nel Toro, nel suo momento più tragico rappresentato dalla morte della società, mi rende partecipe di una storia che è la mia storia ed è la storia dei miei idoli in campo e dei miei fratelli sugli spalti. Ma non tutti coloro che siedono sugli spalti li considero propriamente fratelli…
Nel racconto rilevo qualche aspetto polemico: in particolare, nell’aver visto sottovalutata la gravità della situazione. Possiamo approfondire meglio?
Nessun problema a risponderti sull’una e sull’altra delle mie precedenti affermazioni, mi conosci bene e sai che non sfuggo mai le verità. Credo di avere infiniti difetti, ma certo non mi appartiene l’ipocrisia e la disonestà intellettuale. Non ho mai avuto remore nel dire in faccia a chiunque ciò che penso e detesto chi ama nascondersi nel politicamente corretto e vive con la mente sempre orientata al “spero di non farmi dei nemici”.
Veniamo ai tanti medici chiamati a curare il malato terminale Torino Calcio spa, ove per medici intendo ovviamente quei prestigiosi avvocati, commercialisti e finanzieri di cui quotidianamente leggevamo i nomi sui giornali e dalle cui parole, prevalentemente ottimistiche, pendevano i tifosi granata, illusi non solo di non veder morire il Toro, ma di trovarlo nel futuro Campionato in serie A. I tifosi sono gli unici senza colpe, leggendo i giornali di quei giorni, il cancro che stava devastando il Toro gli veniva infatti presentato come una bronchitella.
Scavando tra questi illustri personaggi trovai un preciso dato comune. Quasi tutti erano professionisti in qualche modo collegati alla realtà Fiat. Molti di loro si erano distinti nel passato quali professionisti su operazioni Fiat. Orbene, vista la problematica in questione, trovai quantomeno strano che proprio consulenti e professionisti di orbita Agnelli – Fiat potessero essere i salvatori del Toro. Certo il professionista è terzo rispetto alle vicende su cui opera e la sua professionalità lo porta ad operare senza alcun condizionamento. Però qui parliamo di Fiat e famiglia Agnelli che ben conoscevo, avendone descritto, solo l’anno prima, i danni da loro apportati alla città nel mio libro Torino fiat voluntas. Basta leggere quel libro per capire come io non mi fidassi della corte Agnelli. E, guarda caso, pensando male non mi sbagliai… il Toro fallì.
E anche dai giornali, per la maggior pendenti dalle parole di questa cerchia professionale, pochissime sono state le vere analisi oggettive della situazione.
Ringraziamo il Dottor Marengo…x tutti quelli che pensano che ci abbia salvato BRACCE-MOZZE.
Grazie di tutto Pierluigi. Hai ridato vita ad un mondo che stava sprofondando come Atlantide. Resto convinto che forse si é perso 10 anni tenendo in vita un moribondo che dopo la crisi post goveani(o post borsano o post mani pulite) se il toro fosse ripartito da 0 prima magari… Leggi il resto »
Ancora grazie e Marengo ed a tutte le persone che hanno permesso che ancora oggi possiamo tifare il nostro Toro.